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Siria, chi ha interesse a provocare il vuoto?

2024-12-03 15:00

Filippo Bovo

Siria, chi ha interesse a provocare il vuoto?

Gli ultimi giorni c'hanno consegnato l'apertura di una nuova pagina sul fronte mediorientale, con la rapida avanzata di Hay'at Tahrir al-Sham (HTS) su

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Gli ultimi giorni c'hanno consegnato l'apertura di una nuova pagina sul fronte mediorientale, con la rapida avanzata di Hay'at Tahrir al-Sham (HTS) su Aleppo fino alla sua parziale conquista, con un temporaneo cedimento siriano ed un conseguente rafforzamento in loco dell'azione russa; inevitabile che ne nascessero le più fosche letture, complice spesso anche la condotta non sempre delle più professionali di molti nostri media. Di là da tante suggestioni della prima ora, alcuni elementi sono ad ogni modo più che certi:  ad esempio, che ben difficilmente Israele avrebbe mai accettato un accordo di tregua in Libano se non fosse stato perché stava perdendo contro Hezbollah. Ciò dovrebbe certamente far riflettere riguardo al mito d'invincibilità spesso attribuito alle sue Forze Armate da molti osservatori occidentali, ancor più considerando che già in passato erano uscite con le ossa rotta da altri scontri, peraltro proprio in Libano e contro Hezbollah. Israele sa sempre di più che non potrà vincere la sua sfida in Medio Oriente senza veri rinforzi, senza che gli Stati Uniti scendano in campo al suo fianco.

 

Infatti, oltre alle forti criticità incontrate in Libano contro Hezbollah, ad affrettare i tempi per l'accettazione di un temporaneo cessate il fuoco hanno concorso pure le contemporanee valutazioni riguardo un attacco ad Aleppo. Da tempo preparato e supervisionato di concerto tra vertici israeliani ed americani, ha ricevuto il via libera quando è stato riconosciuto che questo fosse il momento più opportuno per poterlo lanciare. In un contesto fragile come quello della Siria settentrionale, dove dal 2020 regnava una fragile tregua tra le autorità di Damasco e l'Esercito Nazionale Siriano (SNA) in parte a controllo turco, l'intervento di forze terze certo già conosciute e contro le quali mai era venuta meno la lotta non poteva ovviamente non provocare quanto ha provocato. Ecco così quel che a molti è parso come una sorta di “colpo di mano” di Hay'at Tahrir al-Sham, organizzazione islamo-fondamentalista nata dalle ceneri della vecchia Jahbat al-Nusra ed affiliata ad al-Qaeda. Al pari d'altri gruppi takfiri e wahabiti, indipendentemente dal loro esser affiliati a quel che rimane dell'ISIS o ad al-Qaeda, che proprio dalla sconfitta del Califfato ha tratto vantaggio recuperando forze, effettivi e predominanza sul campo del terrorismo di matrice islamo-fondamentalista, gli ordini e gli stipendi per HTS arrivano proprio da Washington e da Tel Aviv, e non ultimo anche molto armamento.

 

Molti jihadisti sono usciti dalle aree controllate a nord, soprattutto da Idlib, sfuggendo al controllo delle autorità che in un contesto geografico come quello locale non può certo esser dei più fermi, e si sono uniti con altri gruppi presso Aleppo, per poi entrare nella città acquisendone un parziale controllo, prontamente gonfiato e propagandato sui vari media e social network. Le forze dell'Esercito Arabo Siriano, l'esercito di Damasco, che da mesi combattevano contro i gruppi takfiri e wahabiti legati ad ISIS ed al-Qaeda come in primo luogo proprio HTS, hanno pagato in quel momento il minor numero, il logoramento fisico e materiale dovuto a mesi d'azione continuata e non ultimo l'effetto sorpresa dato da un'offensiva tanto energica e subitanea. Hanno resistito, qualcuno s'è dato alla fuga, altri sono morti, e alla fine hanno ricevuto l'ordine di compiere una ritirata strategica, funzionale a garantirne la sicurezza in attesa di preparare una controffensiva per la quale sarebbe ovviamente servito altro personale, più fresco e non demoralizzato. 

 

Nel frattempo la Turchia ha rafforzato il controllo sulle aree di sicurezza sotto la propria frontiera meridionale, muovendo i vari gruppi che compongono l'Esercito Nazionale Siriano in buona parte sotto il proprio controllo: come quelli in ambito ISIS ed al-Qaeda sono dipendenti da Stati Uniti ed Israele, quest'altri invece sono invece controllati dai comandi e dall'intelligence turca, dai quali ricevono armi e stipendi. Lo scopo della loro azione, in questo caso, è stato quello di prevenire una nuova penetrazione in territorio turco di profughi non identificati, tra i quali potrebbero nascondersi sia terroristi delle sigle takfire e wahabiti a guida israeliana ed americana, sia combattenti delle sigle curde come YPG o SDF, anch'esse con un passato di forti vicinanze con Washington che mantiene tuttora dei sensibili strascichi. Dopo alcuni primi momenti in cui sembrava che l'azione turca non conoscesse un coordinamento con le controparti russe e siriane, è poi apparso anche dai colloqui tra vertici di Turchia, Siria, Iran e Russia che una collaborazione a diverso titolo invece vi fosse, e che mirasse a salvaguardare e ricostituire, nei limiti del possibile, il vecchio status quo.  Da Mosca e da Teheran giungono rinforzi significativi e tornano pure figure che nella guerra contro l'ISIS s'erano assai distinte per zelo militare, mentre anche l'Iraq invia a sua volta i propri reparti sciiti, a cominciare dai volontari forti di una certo non minore esperienza sul campo. Gli attacchi dell'aviazione russa, così come di quella siriana, conoscono intanto un massiccio crescendo sulle postazioni di ISIS ed al-Qaeda per azioni e capillarità.

 

Tolta la dinamica dei fatti, comunque, si sapeva che israeliani ed americani prima o poi avrebbero giocato la carta siriana, vedendo nella Siria l'anello debole dell'Asse della Resistenza così come pure dei suoi alleati e/o partner non ostili, e che in tal modo si sarebbero potuti sfruttare i suoi vasti spazi per disperdervi maggiormente le loro forze, tenendole così a più debita distanza da Israele e neutralizzandole in uno scontro prioritario con altri nemici come le sigle takfire e wahabite. La fase B dell'operazione di destabilizzazione della Siria avrebbe a quel punto visto anche l'ingresso da sud di truppe israeliane nel paese, di fatto in direzione di quelle takfire e wahabite provenienti da nord, al fine di stringere in una morsa le autorità siriane e soprattutto tagliare le vie di collegamento verso il Libano e dunque verso Hezbollah. Di tali prospettive hanno diffusamente discusso le reti televisive israeliane Canale 11 e 12. Va da sé che dinanzi ad una simile situazione, che creerebbe in Siria una pericolosa situazione di vuoto, ogni attore regionale ed internazionale abbia inteso muoversi coi mezzi a propria disposizione e secondo le modalità che gli erano praticabili: la Turchia ad esempio tamponando le sue frontiere ed aree di sicurezza meridionali, l'Iraq analogamente bloccando i propri confini, Iran e Russia aumentando il proprio coinvolgimento militare a favore di Damasco.

 

Era purtroppo qualcosa che in queste pagine paventavamo fin dai primissimi giorni dopo il famigerato 7 ottobre 2023: i nostri lettori più affezionati certamente ricorderanno alcuni articoli dove, per l'appunto, descrivevamo la possibilità che una più estesa operazione di Israele contro Hezbollah e tesa a spezzare l'Asse della Resistenza passasse proprio per un intervento in Siria, che avrebbe comportato le inevitabili contromisure degli altri attori sul campo, dalla Turchia all'Iran fino a russi ed americani già presenti sul suolo siriano. Del resto, è altrettanto un fatto noto che Israele miri a coinvolgere i suoi alleati principali, cominciando dagli Stati Uniti, nella propria guerra in Medio Oriente; e non c'è dubbio che proprio dar fuoco alla polveriera siriana possa essere per la sua leadership il modo sinistramente migliore. A maggior ragione ora che per gli Stati Uniti si prospetta un'Amministrazione certamente più sensibile alle volontà israeliane di quanto già non fosse quella uscente, e che pertanto potrebbe soccorrere Israele con decisa convinzione più che con estorta riluttanza.

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