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Dinanzi all'importanza della posta in gioco, nel conflitto in Ucraina nessuno vuole davvero la pace

2025-05-20 18:00

Filippo Bovo

Dinanzi all'importanza della posta in gioco, nel conflitto in Ucraina nessuno vuole davvero la pace

Nel conflitto in Ucraina, di cui da tempo non parliamo ma su cui resta sempre doveroso esprimere un giudizio, quel che vediamo è un atteggiamento di g

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Nel conflitto in Ucraina, di cui da tempo non parliamo ma su cui resta sempre doveroso esprimere un giudizio, quel che vediamo è un atteggiamento di generale riluttanza da parte di tutte le parti coinvolte ad assumersi sino in fondo il ruolo di “portatori di pace”. Di “pace” si parla pure fin troppo, ma con poca sincerità, soprattutto quando la si vuol descrivere come “pace giusta”, un gioco di parole che par tanto riecheggiare la “vittoria” sempre altrettanto “giusta” di cui Zelensky e i suoi sostenitori parlavano fino a non molto tempo fa, quando il mutarsi di determinate condizioni sul campo e a livello internazionale consigliò di metterla disinvoltamente da parte. Resta il fatto che né gli Stati Uniti né l'Unione Europea, e men che meno il Regno Unito, intendano realmente prendere in considerazione l'ipotesi di sedersi seriamente al tavolo per prendersi il carico di quella che da tempo è ormai soltanto una “sconfitta inevitabile”: né poteva diversamente essere fin dal principio del conflitto, allorché coerentemente con quanto sino a quel momento operato, stabilendo in Ucraina un regime che gli fosse alleato e funzionale, armandolo e preparandolo alla guerra, e tacendo sulla pulizia etnica nel mentre in atto nel Donbass, dinanzi allo scoppio del conflitto prontamente intervennero in sua difesa, continuando a pomparlo di capitali ed armamenti. 

 

La Russia s'è dunque trovata a combattere non con un solo paese, l'Ucraina, ma con l'intera NATO e le sue enormi risorse, seppur in forma indiretta e mai dichiarata; e con tutto ciò ha pure vinto, perché da mesi e mesi a questa parte di vittoria parliamo, oltretutto senza affatto patire le conseguenze delle sanzioni economiche occidentali e i loro tentativi d'isolamento internazionale, persino ritortosi contro i loro mandanti. Prendersi carico di una simile sconfitta, per le potenze occidentali e la NATO, è dunque a tuttora impossibile e il loro atteggiamento ci testimonia palesemente come non siano affatto pronte a prender in considerazione un'ipotesi del genere; men che meno, del resto, lo farebbe a sua volta Zelensky, ben consapevole che una seria trattativa di pace tra i suoi alleati e la Russia, tale da condurre realmente alla pace, comporterebbe immediatamente anche la sua defenestrazione, rinfrescando i vecchi piani ormai momentaneamente accantonati di un suo esilio forzato in Francia o da qualche altra parte ancora. La Russia, come dicevamo, continua a vincere e ad avanzare sul campo, forte di un consenso interno tutt'altro che fiaccato da oltre tre anni di conflitto, che oltretutto sta regalando ai suoi cittadini prospettive di rivincita sul “nemico” occidentale di portata epocale, persino ben oltre il loro immaginario e tali da gratificar non poco il loro spirito patriottico e nazionalista. Per quanto una guerra non sia mai qualcosa di bello o da celebrare, considerando ancor più l'impressionante numero di morti e feriti da ambo le parti, che addirittura il Wall Street Journal aveva già mesi fa calcolato in circa un milione, possiamo pur immaginarci quella "certa qual soddisfazione" che molta opinione pubblica russa, quella proprio di maggior spirito “nazional-patriottico”, stia provando in questi mesi nel sapere che il proprio paese gliele stia “facendo pagare” ai suoi avversari storici e strategici, le potenze “euro-americane” che non a caso oggi in Russia additano come complici e mandanti del “nuovo nazismo” e della sua nuova aggressione. La retorica nazionalista popolare può spiegare molto degli umori, anche politici, dell'opinione pubblica russa, e tenerla in considerazione in questa nostra riflessione non è dunque inopportuno. 

 

Del resto, sempre con quel tipo di messaggi culturali, mediatici e politici era stata catechizzata anche l'opinione pubblica occidentale, soprattutto nei primi due anni del conflitto, fomentando un vero e proprio odio verso la Russia che era stato capace di bagnare vasti settori europea. Tuttora ne restano abbondanti tracce, in una parte dell'opinione pubblica europea ed americana, sebbene l'andamento del conflitto abbia poi suggerito a molto del mondo politico e mediatico occidentale d'attenuare la portata di quella propaganda che ormai iniziava a non convincer più quote sempre più ampie di suoi cittadini. Così, mentre negli Stati Uniti e in Unione Europea cresce il dissenso nei confronti del conflitto, sia per il suo protrarsi in un nulla di fatto, sia per le conseguenze economiche che ha prodotto, sia per la crescente convinzione di molti d'esser stati semplicemente ingannati dai propri media e governi, in Russia l'andamento appare al contrario di tutt'altro tenore: ovvero quello di un popolo che, pur non gradendo la guerra per la gravità di ciò che rappresenta, in questo momento però neppure ne disprezza i risultati che ha sortito per il proprio paese, indubbiamente ben maggiori rispetto alle previsioni iniziali. Ciò, va da sé, sempre non dimenticando le critiche anche molto accese che i cittadini russi hanno talvolta riservato per il modo in cui il Cremlino e i suoi Comandi militari hanno in molte occasioni guidato il conflitto, perdendo tempo prezioso in alcune situazioni, lesinando nell'armamento in altre fasi iniziali, o ancora scontando certe disorganizzazioni in altri momenti ancora. Insomma, dal momento che vince sul campo, ad oggi la Russia e i suoi cittadini preferiscono continuare il conflitto per approfittare del buon andamento che sta registrando, e consolidare una vittoria destinata ad esser sempre più epocale non soltanto per ciò che comporterà sul piano frontaliero ma anche su un più ampio piano internazionale. 

 

La vittoria russa coinciderebbe con la sconfitta occidentale, e questo significherebbe che a subir il peso di tali conseguenze non soltanto regionali ma anche internazionale sarebbero proprio coloro che le hanno mosso guerra contro, ovvero gli Stati Uniti, l'Unione Europea e la NATO. L'Ucraina, usata dalle potenze occidentali come “agnello sacrificale” per il loro fallito piano di “distruzione strategica” della Russia, ancor più risulterebbe da un simile scenario letteralmente annientata, certo profondamente snaturata rispetto a come l'abbiamo finora conosciuta. Si ritroverebbe ad avere ben diversi confini, assai meno popolazione e così pure risorse, ed oltretutto con intere generazioni bruciate al fronte, tra le quali proprio quelle persone che dovrebbero garantirle un nuovo futuro nel dopoguerra: tecnici, insegnanti, medici, uomini e donne “abili” a cui è stata imposta una divisa e, ad un certo punto, anche la morte. Oggi più che mai alle potenze occidentali poco importa dell'Ucraina: come “agnello sacrificale” le serviva, affinché combattesse la “loro” guerra fino all'ultimo dei suoi uomini, facendo fondo delle sue risorse migliori. Dinanzi però alla crescente minaccia della disfatta, devono continuare a simulare il loro attaccamento per Kiev e per le vite degli ucraini, rinnovare sine die il loro sostegno e protrarre il conflitto alla maniera di un vero e proprio "accanimento terapeutico". Possiamo facilmente immaginarci cosa significherebbe, per l'intero Occidente, l'ammissione della sconfitta e le conseguenze che implicherebbe: sarebbe né più e né meno la morte ufficiale del vecchio ordine internazionale unipolare, a guida americana, con la certificazione dell'avvento di un multipolarismo di fatto già esistente e nel quale si ritroverebbe a svolgere solo un ruolo di declinante comprimario. Il peso di una simile sconfitta e i tanti prezzi geopolitici che implicherebbe, infatti, non farebbero altro che accelerare da quel momento in poi il declino americano, europeo e della NATO. La riluttanza occidentale a farsi carico di serie intenzioni di pace, dunque, si spiega così.

 

Quanto agli alleati di Mosca, dallo scoppio della guerra ad oggi li abbiamo visti addirittura moltiplicarsi con relazioni bilaterali andatesi oltretutto sempre più a rafforzare. La Parata della Vittoria dello scorso 9 maggio, per esempio, ne è stato un chiaro indicatore. Non soltanto il conflitto non ha contribuito minimamente, come media e politici occidentali s'aspettavano o promettevano, ad indebolire la sintonia tra Mosca e Pechino, andatasi infatti ad infittire ed arricchire, forte anche della consapevolezza cinese che un'eventuale caduta della Russia avrebbe sbilanciato gli equilibri sia eurasiatici che globali e rappresentato un preludio ad un sempre più aggressivo approccio dell'Occidente verso la stessa Cina; ma così pure, per le medesime ragioni, ha agito sull'accresciuta identità di vedute tra la Russia e gli altri suoi partner, come l'Iran, l'India, o ancora i governi progressisti africani e latinoamericani, e così via. Quella assisa sulla tribuna della Piazza Rossa era una rappresentanza, certo non completa ma in ogni caso sempre ben rappresentativa, del nuovo mondo multipolare in cui Mosca appare un attore vincente ed essenziale, col quale sono molte le cose in comune a fronte di un mondo occidentale che vorrebbe riservare nei confronti soprattutto del “Sud Globale” un atteggiamento spesso fin troppo predatorio e gerarchico. E' da ricordare come alcuni di questi vecchi e nuovi partner di Mosca nel nuovo ordine multipolare abbiano più volte provato ad infondere i propri sforzi nel cercare una soluzione pacifica all'odierno conflitto in Ucraina, venendo puntualmente respinti o persino umiliati nella loro azione mediatrice e costruttiva: la Cina, di cui parlavamo, è stato forse il primo e più noto esempio. Il loro appello affinché si giunga alla pace, ovviamente, non è mai venuto meno; ma va da sé che ciò sarà possibile soltanto allorché le potenze occidentali si prenderanno la loro parte di responsabilità, cosa che ad oggi non hanno ancora minimamente saputo dimostrare. Anche questa comune consapevolezza contribuisce, tra i tanti e vari partner del mondo multipolare, a rafforzare e rinnovare la loro profonda coesione.

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