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Siria al collasso, una storia non ancora conclusa

2024-12-08 15:35

Filippo Bovo

Siria al collasso, una storia non ancora conclusa

Il rapido collasso del governo baathista in Siria, con la caduta degli Assad, appare un fatto tanto fulmineo da lasciar basiti i più, eppure trova tan

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Il collasso del governo baathista in Siria, con la caduta degli Assad, è parso un fatto tanto fulmineo da lasciar basiti i più, eppure ha molte ragioni che, almeno in parte ed in ordine sparso, cercheremo qui d'elencare. Una, per esempio, risiede nel logorio ereditato da tredici anni di guerra civile: da lungo tempo ormai la Siria non era più quella di prima. Il paese era profondamente lacerato e bisognoso di una ricomposizione nazionale per il cui conseguimento gli servivano tuttavia forze civili ed istituzionali adeguate e che non aveva più, per giunta in assenza di condizioni essenziali come una reale pace ed una piena assistenza dei propri partner. Con la guerra che oltretutto continuava imperterrita, e con la sola Israele che per esempio nell'ultimo anno aveva compiuto oltre mille raid aerei sul sud del paese, ben difficilmente si poteva pensare a qualcosa del genere. Il recente e progressivo rientro poi, in un momento in cui le conflittualità interne parevano ormai essersi stabilizzate, di molti esuli e profughi siriani, usciti dal paese negli anni più intensi della guerra civile, ha portato anche al ritorno di figure probabilmente non sempre specchiate, mentre tante altre ancora restano fuori in attesa di poter eventualmente tornare a loro volta: nella sola Turchia, per esempio, ad oggi i profughi siriani sono oltre tre milioni e mezzo. Il governo baathista avrebbe quindi dovuto e potuto procedere ad una politica di riconciliazione con costoro, volto ad un loro reinserimento nella vita sociale e politica del paese; ma, come ci possiamo facilmente immaginare, sebbene ciò rientrasse negli Accordi di Astana, Damasco non era comunque favorevole ad assumersi una tale responsabilità, continuando a ritenerli pur sempre e non proprio a torto dei traditori a cui non aprir spazi nelle proprie istituzioni. D'altronde, come già detto, vi erano davvero ancora sufficienti forze istituzionali e civili per poterlo fare, in un paese così tanto martoriato? 

 

Stante una simile situazione, i partner di Astana ad un certo punto hanno dovuto, seppur faticosamente, prender in considerazione anche un “Piano B” che contemplasse un eventuale dopo Assad: e non a caso proprio ieri, a Doha, il ministro degli Esteri russo Lavrov ha rimarcato l'essenzialità di distinguere tra le forze del Consiglio di Transizione Siriano, ovvero quelle dell'opposizione e che hanno nel SNA il loro braccio militare, e quelle legate ad ISIS ed al-Qaeda come Hay'at Tahrir al-Sham, principali responsabili dell'attuale OPA sulla Siria, con la loro rapida avanzata da Idlib ad Aleppo, Hama ed Homs. La presa d'atto del forte logoramento nell'apparato baathista, che vedeva il diffondersi al suo interno di non pochi tradimenti, reti informali e di corruzione a favore dei suoi vari avversari, dalle forze d'opposizione del SNA vicine alla Turchia fino a quelle curde di SDF e YPG e quelle affiliate ad al-Qaeda e ISIS controllate invece da Stati Uniti ed Israele, ha portato alla dolorosa presa d'atto tra russi ed iraniani di quanto bene o male già indicato loro anche dal partner turco nel quadro di Astana, ovvero che tutti gli sforzi sinora tesi a sostenere Assad finissero in un modo o nell'altro sempre con l'approdare ad un punto morto. Non c'era più un solo governo a Damasco perché le sue anime nel frattempo s'erano sotterraneamente tanto moltiplicate e scollate da far sì che la sua Presidenza si ritrovasse sempre più isolata, sabotata o non coadiuvata da altri suoi vitali elementi governativi, militari e d'intelligence, a cominciare da interi reparti dell'esercito che improvvisamente avevano smesso di combattere cedendo posizioni senza sparare un colpo. Anche per questo, alla fine, lo stesso Assad, certamente su pressioni pure dei suoi stessi partner di Astana, ha optato a malincuore per una transizione che sia quanto più possibilmente pacifica tra il suo governo e le forze di Hay'at Tahrir al-Sham; o almeno così ha ordinato al suo primo ministro, che proprio per questo stamani ha incontrato a Damasco i nuovi arrivati nel loro quartier generale, stabilito al Four Seansons Hotel.

 

Tuttavia ben difficilmente questo per la Siria potrà aprire un futuro di pace o di ritorno alla stabilità. La verità è che, paradossalmente, mai quanto oggi il processo deciso ad Astana per una normalizzazione del conflitto civile siriano e per assicurare l'integrità territoriale del paese sia stato così compromesso. Sebbene fin dal 7 ottobre 2023 fosse ampiamente prevedibile che Israele, di concerto coi suoi ambienti più contigui negli Stati Uniti, avrebbe riacceso l'incendio in Siria proprio per destabilizzarla al fine d'isolare Hezbollah e il Libano e d'indebolire l'Iran, ponendo oltretutto un vero e proprio campo minato in grado di separarla dalla Turchia, la carta che il trio di Astana poteva giocare per impedire il palesarsi di un simile scenario era già bruciata in partenza. Il governo siriano aveva smesso infatti già da tempo d'esister in quanto tale, sia come presenza in molte aree del paese, sia come efficacia della sua stessa presenza nelle aree dove invece il controllo politico e militare ancora lo esercitava, a partire dalla stessa Damasco. E' avvenuto dunque quanto lo stesso Presidente Erdogan paventava avvisando i suoi partner russo ed iraniano, che il gioco sfuggisse di mano permettendo ad Israele e agli Stati Uniti d'insinuarvisi a proprio vantaggio. La situazione siriana odierna appare dunque, così di primo acchito, sinistramente simile a quella che già si vide nel 1991 con la caduta della Repubblica Democratica Somala o nel 2011 con quella della Grande Jamahiriya Libica. Sappiamo benissimo a cosa condussero quegli avvenimenti: alla disgregazione di fatto perenne ed insolubile di quei due grandi ed importanti paesi.

 

Proprio come la Somalia e la Libia si divisero non riuscendo più a recuperare la loro piena sovranità ed integrità territoriale, anche perché gli stessi elementi esogeni che avevano prima portato alla loro frammentazione impedivano poi una loro ricomposizione, così presumibilmente avverrà ora per la Siria. Israele ha già occupato da tempo le alture del Golan, e mira oggi ad estendere ulteriormente le aree del meridione siriano sotto il suo controllo, fino ad avvicinarsi a Damasco; nel frattempo, complice lo stato di caos in cui è caduto il paese, ne approfitta per distruggere le batterie di missili balistici e sistemi d'aria siriani, allo scopo di lasciar completamente disarmata la futura Siria, o le varie entità che dalle sue ceneri sorgeranno. Abu Muahmmad al-Juwlani, leader di Hay'at Tahrir al-Sham, la formazione al-qaedista controllata proprio dall'intelligence israeliana ed americana e che nell'odierna destabilizzazione siriana ha recitato la parte del leone, s'è già detto d'accordo; altra parte del materiale militare, con le Forze Armate siriane, ha trovato riparo oltre il confine iracheno, segno che forse qualche altra mossa futura vi sarà. Se una parte della Siria sarà in un modo o nell'altro fagocitato da Israele, il resto potrebbe frazionarsi invece in almeno altre tre o quattro aree. Vi sarebbero prima di tutto un'entità curda guidata da SDF e YPG e un'altra guidata dagli islamo-fondamentalisti di ISIS ed al-Qaeda, Hay'at Tahrir al-Sham per prima, e tanto la prima quanto la seconda entità sarebbero intuibilmente dei rassicuranti Stati fantoccio per Israele e per gli Stati Uniti, che avrebbero mani libere nei loro affari interni. La sicurezza di Israele sarebbe a quel punto sostanzialmente garantita, con l'interruzione di fatto della continuità geografica dell'Asse della Resistenza: Iran, Iraq e Libano sarebbero separati, e Israele potrebbe a quel punto con più libertà concentrarsi anche sul Libano, sia per vincere la propria partita con gli Hezbollah a quel punto isolati sia per portare avanti le proprie mire territoriali anche sul meridione libanese. Un'altra entità ancora, in Siria, potrebbe infine svilupparsi in prossimità delle basi russe di Latakia e Tartus, fungendo da area di sicurezza delle stesse forze russe con un governo a carattere prevalentemente alauita. Da non dimenticare, infine, le aree di sicurezza a controllo turco sotto il SNA, intorno a parte delle frontiere turche.

 

Vedremo ora gli sviluppi: certamente qualche garanzia ci sarà stata, considerando la transizione comunque piuttosto burrascosa, che ha infatti portato più d'uno a parlare anche motivatamente di una forzatura, di un colpo di Stato, più che di una trattativa magari frettolosa e malriuscita. Una cosa è certa: nessuno dei tre partner di Astana, ovvero Turchia, Russia ed Iran, si laverà le mani dinanzi a questo nuovo scenario. Dopotutto, già la Turchia ha maldigerito un Kurdistan iracheno di fatto indipendente come quello attuale, figurarsi quanto ne apprezzerebbe uno siriano: inutile dire chi davvero avrebbe le mani in pasta negli affari interni di quello come del resto già le ha anche dell'altro Kurdistan, a rappresentare un'ulteriore minaccia alla sicurezza nazionale di tutti i vicini, Ankara e Teheran per prime. Se un Kurdistan siriano suonerebbe come una campana a morto per Ankara, il problema non si fermerebbe comunque soltanto al Medio Oriente, sconfinando ad esempio pure nel vicino Caucaso, a maggior ragione tenendo conto anche delle aree siriane nelle mani di Israele e di quelle appannaggio invece delle forze legate ad ISIS ed al-Qaeda, a garanzia della mai venuta meno presenza illegale americana nella Siria settentrionale. Per la Russia la Siria è da sempre la chiave del Caucaso, e proprio per questo al pari di Ankara e Teheran considera la partita non ancora conclusa: concentrata oggi soprattutto nel consolidare la vicina vittoria in Ucraina, non tarderà quindi ad intensificare la propria azione pure in Medio Oriente. Sarà dunque questo il nuovo capitolo di una storia ben lontana dal potersi dire con oggi conclusa: chi adesso esulta cantando vittoria, potrebbe presto accorgersi d'averlo fatto troppo precocemente.

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