Che in Ucraina ultimamente le cose non vadano granché bene lo si può notare da numerosi indizi, oltre alla continua e crescente richiesta di nuove armi presso gli alleati occidentali a cui ormai in molti si sono più che abituati. Si nota infatti anche un “aggiustamento di rotta” nei vertici statunitensi e NATO, che ha portato per esempio alla silenziosa scomparsa soltanto negli ultimi giorni di quelle “fonti speciali” (primi tra tutti, i vari “informatori” ed “analisti” strategici e militari dalle cui labbra pendeva il grosso dei mass media occidentali d'ambedue le sponde dell'Atlantico) fino ad oggi sempre tanto prolifiche su internet come nei vari canali social, da Facebook a Twitter a Telegram e così via. E' il caso di Onyx, in verità scomparso già da qualche tempo, o di Ukraine Weapons Tracker che ha chiuso i battenti a metà ottobre, o di Calibre Obscura che ha annunciato la propria chiusura soltanto pochi giorni dopo: un'impressionante moria che, se non altro, colpisce soprattutto per la veloce repentinità. Anche gli altri media e canali “di settore” non sembrano, a loro volta, passarsela altrettanto bene: alcuni tentano dei modesti e comunque goffi riposizionamenti, altri invece diradano progressivamente la loro attività forse con l'intento ad un certo punto di sospenderla del tutto, e così via. Vien da pensare che per tutti quanti stiano finendo i fondi a disposizione, in passato stanziati in quantitativi frequenti e sostanziosi, e che insieme stiano venendo meno anche gli argomenti da dire.
Nulla che ci debba sorprendere: sono ormai sempre meno anche i dirigenti occidentali ancora disposti a credere che l'Ucraina possa, in un qualche modo, spuntarla sulla Russia, magari non con una vittoria a cui nessuno aveva davvero mai dato credito quanto piuttosto anche soltanto in un più modesto seppur più realistico “pareggio”, comunque utile per la NATO ancor prima che per Kiev per trattare con Mosca da una posizione di forza. E poiché è da loro che dipendono i “cordoni della borsa”, ne consegue che anche tutto il resto della “filiera” oggi ne risenta: sono sopraggiunte nuove priorità (ad esempio il nuovo conflitto israelo-palestinese, ma non solo: ricordiamoci ad esempio la montante tensione con Pechino sul Pacifico, artificiosamente voluta e pompata da Washington soprattutto intorno a Taiwan) e di conseguenza tocca potare i rami secchi. Così da Kiev, trovandosi sempre più abbandonati al loro destino, addirittura per la prima e clamorosa volta in quasi due anni di guerra “dimenticati” nel pacchetto d'aiuti finanziari e militari USA (incidente poi comunque rimediato, ma con una dazione pur sempre modesta rispetto alle vecchie aspettative), il quantitativo d'armi e munizioni ha rapidamente cominciato ad assottigliarsi. Non mancano cronisti non allineati al dettato politico e mediatico occidentale che, dall'Ucraina, testimoniano in proposito una situazione da fine dell'impero: i droni russi, per esempio, vagano spesso sui cieli di Kiev, senza che vi sia antiaerea di sorta a tentarne l'abbattimento. Vien da pensare che le forze armate ucraine, ormai, debbano risparmiare sulle munizioni della contraerea, in precedenza dilapidate fin troppo abbondantemente senza troppi risultati, per riservarle agli obiettivi ritenuti davvero più facili o sicuri; e che, probabilmente, anche la stessa antiaerea sia stata a sua volta decimata, o in buona parte neutralizzata proprio dall'aviazione e dai droni russi che non a caso risultano aver colpito massicciamente nel corso dei mesi le infrastrutture e le sotto-infrastrutture del paese.
Questa situazione, davvero disperata, spiega assai bene perché il governo di Zelensky abbia sudato freddo nel momento in cui è scoppiata la guerra tra Hamas ed Israele, immediatamente capendo che a questo punto l'Ucraina sarebbe stata frettolosamente surclassata da Tel Aviv nel cuore e nelle priorità degli europei e soprattutto degli statunitensi. Del resto, i segnali di quanto l'Ucraina faticasse sempre più a venir considerata dai suoi sempre più scettici alleati NATO erano evidenti già prima del 7 ottobre, e grossi assaggi se ne erano avuti sia in occasione dell'ultima visita di Zelensky a Washington, col trattamento non proprio festoso ricevuto al parlamento USA, che in seno all'UE, coi cambiamenti d'equilibri interni di cui la vittoria elettorale di Robert Fico è solo uno dei tanti esempi destinati ad irrobustirsi nel prossimo futuro. Ben si spiega perché a Kiev abbiano prontamente pensato d'agganciare l'aiuto al loro paese a quello ad Israele, facendo circolare con insistenza il messaggio che non si potesse aiutare l'uno senza aiutare anche l'altro, visto che il loro era un “nemico comune”; ed addirittura reiterando le richieste d'aiuto anche alla stessa Israele, le cui tecnologie militari sono indubbiamente valide ed ingolosiscono assai Zelensky sebbene tra Gerusalemme e Tel Aviv l'idea di fornirgliele sia tutt'altro che apprezzata, ancor più con le nuove priorità belliche appena sorte. Nulla è rimasto affidato al caso, come dimostrato anche dall'episodio occorso all'aeroporto di Machackala, nella repubblica caucasica russa del Daghestan.
Dagli USA e anche dall'UE vengono però rivolti a Zelensky ben altri consigli: mentre gli aiuti militari calano per quantità e giungono sempre più in ritardo, l'invito è di cominciare a pensar più seriamente a dei negoziati, argomento finora tabù. Ne hanno parlato vari ed importanti media americani, primo tra tutti il Time con un lungo articolo di Simon Shuster, mentre The Economist s'è intrattenuto con una non meno sintetica intervista al Generale Valery Zaluzhny, fino ad un articolo di NBC che a livello forse più popolare ha ugualmente rincarato la dose. E' probabilmente l'articolo di Time a risultare quello più sconcertante, non fosse altro perché a firma dello stesso giornalista che solo un anno fa definiva Zelensky "persona dell'anno", e che ora ne dà invece un ritratto a dir poco impietoso, se non inquietante. Sebbene il presidente ucraino dichiari che "nessuno creda alla vittoria ucraina" come lui, nell'articolo si notano tuttavia le perdite ucraine quantificate in “decine di migliaia” (cifre lontane dalla realtà, ma pur sempre sensibilmente più alte di quelle fornite in passato), il sostegno in calo dell'Occidente e la perdita d'interesse dell'opinione pubblica. Varie domande poste ai collaboratori fanno capire che la situazione stia diventando sempre più grave: Zelensky, secondo i suoi, sarebbe "adirato", anche se l'identità di questi suoi così confidenziali collaboratori resterebbe al momento ignota. Si sentirebbe tradito dall'Occidente che non gli fornisce i mezzi per vincere la guerra, sebbene l'autore non spieghi come l'Ucraina possa realmente vincerla, ed avrebbe perso il suo solito spirito e senso dell'ironia, fino addirittura alla pervicace convinzione di una vittoria finale, giudicata “messianica”. Tali sarebbero a questo punto il suo stato d'animo ed il suo comportamento da preoccupare seriamente quanti gli stiano intorno ("s'illude. Non abbiamo più opzioni. Non stiamo vincendo. Ma provate a dirglielo") perché gli toglierebbero quella lucidità necessaria a trovare "una nuova strategia, un nuovo messaggio". L'articolo non spiega quali dovrebbero essere la strategia o il messaggio, ma è implicito che si tratti proprio dei famosi negoziati su cui evidentemente nel frattempo crescono sempre più le pressioni da parte degli alleati NATO. L'articolo continua poi paragonando il benvenuto ricevuto a Washington un anno fa e l'ultima volta, le difficoltà della controffensiva, nonché "la mancanza di personale", un buon eufemismo per indicare le grosse perdite subite dall'esercito, tali da aver obbligato i reclutatori ad alzare sempre di più l'età media dei richiamati, arrivata ora a 45 anni. Ancora, Simon Shuster parla della corruzione e degli scandali, anche stavolta infrangendo un tabù rispetto all'inviolabile immagine patinata che dava di Zelensky e della sua governance soltanto un anno fa.
Non meno sconcertante appare l'intervista a Zaluzhny pubblicata dall'Economist, incentrata sul fatto che al fronte si sia creato uno stallo e che non ci sarà pertanto alcuno sfondamento. Già una simile ammissione, dopo che per mesi era stata garantita la sicura ed imminente conquista della Crimea, quando proviene da certe personalità è a dir poco sorprendente. Per risolvere lo stallo, secondo Zaluzhny, sarebbe necessario un nuovo esercito, dotato di nuovi mezzi ed equipaggiamenti. In pratica si tratterebbe del quarto ormai macinato sul suolo ucraino dalla fine di febbraio 2022 dopo il primo, il secondo impiegato nella controffensiva dell'estate-autunno 2022, il terzo sceso in campo nella controffensiva dell'estate 2023, ed il quarto che servirebbe ora per il futuro. Ben ci ricordiamo quale sia stata la fine fatta dai primi tre, anche se Zaluzhny ovviamente evita di parlarne. Servirebbero poi un centinaio di F-16, munizioni ed infine tecnologie per distruggere i droni russi: addirittura a questo punto Zaluzhny parla di droni equipaggiati con avveniristici sistemi elettronici e persino un po' coreografici per confondere i droni russi. Tali cose tuttavia non esistono, cominciando da quelle di cui fa l'esempio nella sua intervista, che appaiono onestamente più degne di un romanzo di ufologia; mentre le tecnologie di sminamento che ipotizza, come robot con cannoni al plasma in grado di scavare sotto il terreno, parimenti s'avvicinano più alla fantascienza che ad altro. Le munizioni d'artiglieria e i sistemi di guerra elettronica sarebbero a suo dire giustificati dal fatto che i russi ne avrebbero un quantitativo enorme, tale da disorientare i droni ucraini e le "munizioni intelligenti" come gli Excalibur, addirittura al punto da costringere i preziosi missili HIMARS ricevuti dagli USA non a fare ciò per cui erano stati assegnati, ossia smembrare le linee logistiche russe, ma per più modesti compiti di controbatteria, con risultati oltretutto assai poco lodevoli. Tutto questo mentre gli ucraini sarebbero privi di mezzi per opporsi ai droni russi, ormai sempre più perfezionati e capaci di coprire un raggio d'azione sempre più elevato: eppure erano quegli stessi identici russi che, sempre a detta sua come dei media occidentali a quel tempo più galvanizzati che mai, avevano finito le munizioni, tiravano a campare con armi ed equipaggiamenti obsoleti ed addirittura, in certi casi, erano costretti a combattere nelle trincee a badilate. Zaluzhny prosegue poi nella sua intervista citando il problema del reclutamento: non ci sono uomini, la legge consentirebbe "scappatoie" e l'addestramento sarebbe difficile, tanto che è stato ormai deciso di mandare le unità appena formate subito al fronte, affiancando i reparti di veterani, con conseguenze ben facili da intuire.
Senza armi e munizioni, senza droni e sistemi antidroni, e peggio ancora senza uomini, per giunta con le tattiche NATO “incredibilmente” rivelatesi fallaci, Kiev si ritrova così a mani nude davanti ai russi che invece hanno tutte queste cose e molte di più. Per giunta Mosca non sembra affatto sul punto di collassare, speranza su cui in nome del “wishful thinking” Kiev e la NATO avevano invece elaborato tutte le loro tattiche di conflitto, disperdendo così molte delle loro evidentemente già sopravvalutate risorse. Ed è qui che si giunge al punto più ovvio ma anche più doloroso per l'orgoglio di Kiev e della NATO: con mimetica flemma europei e statunitensi iniziano ora ad accennare all'opportunità di scendere a negoziati, addirittura arrivando per la prima volta ad ipotizzare che dopotutto l'Ucraina potrebbe anche fare delle concessioni alla Russia così da chiudere il prima possibile il conflitto: "alcuni membri dell'amministrazione Biden sarebbero preoccupati del fatto che l'Ucraina stia esaurendo le forze, mentre la Russia avrebbe apparentemente riserve infinite". Addirittura si dubiterebbe ora della capacità di Kiev di poter condurre una nuova controffensiva mentre invece, e sempre con delicata flemma, s'inizierebbe ad introdurre l'idea che forse lo stato delle forze armate russe ed ancor più le capacità produttive di Mosca siano un po' diverse da quanto propagandato finora. Intuibile la risposta di Kiev, che ha ribadito come unica e valida linea quella della “resa incondizionata” di Mosca: dunque, nessun compromesso, men che meno al ribasso. A guastar le feste a Zelensky che aveva appena smentito Zaluzhny, la notizia della strage avvenuta proprio in quel giorno alla Festa degli Artiglieri, che ha risollevato nuove polemiche anche tra il presidente e lo stesso generale, e messo in luce le crescenti divisioni in seno al governo e alle forze armate del paese. E che ha anche maggiormente avvalorato quanto scritto sul Time da Simon Shuster, in merito al fatto che il presidente ucraino stia ormai vivendo una crescente perdita di lucidità, che tra le tante cose lo porta sempre più a chiudersi in un suo “cerchio magico” dal quale molti suoi ex collaboratori vengono cacciati o non sono più ammessi, in favore di nuovi dei quali ben poco si sa e molto invece si dubita.
Ad ogni modo, indipendentemente dall'opinione di Zaluzhny o di Zelensky, non c'è nessuno stallo al fronte, bensì una guerra d'attrito che ogni giorno infligge all'Ucraina perdite mostruose, ammesse ormai apertamente anche in questi tre articoli e che stanno visibilmente sfibrando anche la tenuta delle stesse istituzioni ucraine e dei loro gruppi di potere. Ed è sempre l'Ucraina ad aver un urgente bisogno di negoziati e non la Russia, che in ogni caso sarebbe disposta volentieri a negoziare, purché alle sue condizioni (che ovviamente non sono quelle del piano a suo tempo presentato da Zelensky, ossia la “resa incondizionata” menzionata soltanto poco fa, col ritiro dai territori occupati, la restituzione della Crimea, il pagamento di tutte le spese di guerra e l'arresto dell'intera leadership civile e militare russa). Il punto, però, è che al momento non si sa quali condizioni la Russia potrebbe ora avanzare, dopo aver ignorato e respinto quelle precedenti alla guerra e quelle del marzo-aprile 2022, che oggettivamente avrebbero garantito all'Ucraina uno status e delle condizioni ben più vantaggiosi di quelli odierni. Prima della guerra alla Russia bastavano la neutralità dell'Ucraina, il riconoscimento della sovranità sulla Crimea e la revoca delle sanzioni del 2014; a guerra iniziata si è poi aggiunto il Donbass; e ora ci sono altre quattro regioni più, probabilmente, tante altre cose ugualmente andate perdute. La Russia non si metterà dunque al tavolo per un semplice compromesso, né al rialzo né al ribasso, anche perché la tanto decantata controffensiva ucraina è fallita miseramente producendo nei fatti danni soltanto a Kiev; e men che meno lo farà accettando per l'Ucraina un ruolo di parità, perché la situazione sul campo non vede affatto tale situazione tra i due contendenti, quantunque i nostri media pur sostenendo adesso la necessità di negoziare ancora insistano che entrambe le parti siano in difficoltà. Come già in passato si raccontò dalle pagine di questo sito, la Russia dall'Ucraina accetterà soltanto la firma di resa; magari riconoscendole anche un buon trattamento, ma sempre e comunque di una resa si parlerà; e nulla vieta che non possa invece trattarsi pure di una resa “incondizionata”, qualora il conflitto dovesse protrarsi ancora troppo a lungo. Le occasioni per concludere il conflitto in condizioni vantaggiose per entrambi, o quantomeno perché Kiev e la NATO ne potessero uscire onorevolmente salvandosi la faccia, sono ormai finite; e a questo punto tanto vale per la Russia che la guerra continui finché la sua pressione militare non avrà indotto qualcuno, tra Kiev, Washington e Bruxelles, a più miti consigli.