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Qualche prima considerazione sui dazi americani: reazioni a caldo, prospettive future

2025-04-05 10:00

Filippo Bovo

Qualche prima considerazione sui dazi americani: reazioni a caldo, prospettive future

Lo scorso 2 aprile gli USA hanno varato dazi con tariffazioni variabili di paese in paese, ma per quanto energica la nuova misura suona come un "chiud

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Lo scorso 2 aprile gli USA hanno varato dazi con tariffazioni variabili di paese in paese, ma per quanto energica la nuova misura suona come un "chiudere il recinto dopo che i buoi sono scappati". Non a caso già si hanno notizie di forti ritorsioni commerciali da parte di vari paesi, dall'Africa al Sud Est Asiatico fino all'America Latina. Se tutti questi paesi hanno oggi problemi con Washington, problemi che talvolta suonano come dei veri e propri fulmini a ciel sereno, non ne hanno invece con tante altre grandi economie che ne sono concorrenti; e che certamente approfitteranno dell'occasione per subentrare alle diminuite importazioni americane in quei mercati, approfondendo così la cooperazione e l'integrazione reciproche. La Cina, principale destinatario delle attenzioni americane, è certamente il primo partner a cui nessuno di questi paesi potrà oggi, a maggior ragione, dire di no: tanto in natura quanto in economia vale il principio dell'horror vacui, per cui chiunque si tiri fuori dalla globalizzazione, come stanno facendo ora gli Stati Uniti, inevitabilmente lascia ad altri parte dei suoi spazi, altri che provvederanno in dovuta misura a colmare. 


I dazi possono talvolta essere vantaggiosi, per un'economia forte ed attrattiva, per ricondurre in patria almeno parte delle aziende in precedente delocalizzatesi, così come per indurre altri gruppi stranieri a stabilirvi delle proprie filiali produttive; ciò può così contribuire a ridurre la disoccupazione e ad aumentare il potere d'acquisto e, in modo indiretto, dar pure un impulso a tutti gli altri servizi, secondo principi quasi keynesiani.  Ma tutti questi sono dei vantaggi calcolabili solo nel breve e medio termine, al quale poi seguono anche gli effetti di tutte le relative ed inevitabili contropartite. Tra questi, la perdita per ritorsione di molti mercati esteri, peraltro destinati ad essere sempre più strategici nel tempo; o la riduzione di molti propri colossi industriali sempre più al rango di sole grandi aziende nazionali che, avendo abbandonato la passata internazionalizzazione a vantaggio della mal sopportata concorrenza estera, a cui temporaneamente sono state chiuse le porte, al contempo si ritroveranno progressivamente a perdere anche nella gara globale con quest'ultima in termini di R&D, proprio per via delle minori masse critiche finanziarie e produttive che le si potranno a quel punto mettere a disposizione. Insomma, nel lungo termine il rischio è sempre che siano più i danni dei guadagni: non a caso una guerra dei dazi è una “guerra a somma zero”, destinata a fare i maggiori danni soprattutto a chi l'ha voluta. Chi avrà un po' di memoria storica ricorderà certamente di come ad esempio andò a finire, per i colossi automobilistici e motociclistici europei e soprattutto inglesi, la chiusura alla temibile concorrenza giapponese: erano gli Anni ‘70 e ’80 e in tal modo si credeva da una parte di fronteggiare i concorrenti del Sol Levante e dall'altra di salvaguardare le proprie produzioni. Finì invece che molti di quegli storici colossi europei, che fino agli Anni '60 avevano segnato il mercato mondiale soprattutto in ambito motociclistico, sparirono come neve al sole.

 

Insomma, la politica dei dazi non tarderà a presentare il conto soprattutto ai cittadini americani: dopotutto saranno soprattutto costoro a pagare maggiormente il prezzo di prodotti di cui, nella maggior parte dei casi, non potranno fare a meno. A venir colpiti saranno i prodotti più economici, destinati alle fasce di mercato più popolari, che si troveranno dinanzi a prezzi progressivamente sempre meno sostenibili per il loro potere d'acquisto; i prodotti più costosi, indirizzati al pubblico più benestante e pertanto maggiormente in grado di sopportare costi finali più elevati, saranno paradossalmente i meno colpiti dalle nuove misure. In sintesi, i dazi decisi dall'Amministrazione Trump accentueranno negli Stati Uniti la forbice sociale interna, ben prima che vi si manifestino i benefici di un maggior trasferimento di lavoro dall'estero: già questo dovrebbe far capire quanto rischiosa ed antipopolare sia la nuova strategia intrapresa da Washington.  Certo, misure tanto energiche possono essere soltanto parte di una più ampia strategia, intesa a raggiungere migliori accordi bilaterali con questo o quel paese, questa o quell'organizzazione economica regionale, e così via, proseguendo quanto già in precedenza avviato con Canada e Messico. Potrebbero dunque non essere misure definitive, e l'impressione è proprio quella di una certa disponibilità americana a rivederle a seconda del paese in questione; ma in ogni caso ciò si tradurrà comunque in una perdita di prestigio per gli Stati Uniti, ed in particolare in una minor credibilità circa la loro effettiva capacità di portar avanti con la stessa assertività di un tempo le nuove esigenze internazionali. 

 

Di là da ciò, molti paesi che sanno di disporre di potere contrattuale approfitteranno dell'occasione per guadagnare a tempo debito migliori condizioni con gli Stati Uniti non appena quest'ultimi, morsi dall'inflazione,  si vedranno costretti ad un parziale ma sempre significativo ritorno sui loro passi; mentre altri paesi ancora, che fino ad oggi si sono basati sull'esportazione di materie prime, troveranno nella novità dei dazi uno stimolo in più a diversificare e sviluppare la propria economia, incrementando il loro settore produttivo e le loro capacità di trasformazione facendo perno proprio sulla ricerca di rapporti più profondi con altre grandi economie come la Cina e gli altri colossi emergenti. In tal senso lo stimolo a diversificare i vari partner commerciali e tecnologici, oltre che benefico, sarà per costoro anche un inevitabile passaggio proprio per raggiungere il traguardo di un'economia più strutturata, sviluppata e meno vincolata a pochi e rilevanti compratori; certo, richiederà del tempo ma sarà uno stimolo in più a procedere verso un tale livello. Dopodiché, per chi ha voluto defilarsi dalla globalizzazione, o quantomeno attenuarvi il proprio ruolo, tornare indietro pensando di ritrovare le vecchie condizioni, o persino di ricrearle a proprio vantaggio, non sarà proprio così scontato: semmai, sarà a dir poco fantasioso. Negli odierni equilibri internazionali, caratterizzati da una grande fluidità e velocità, certe cose avvengono con tempistiche ben diverse dal passato. 

 

Insomma, in misura indiretta, e nel medio e lungo periodo, per molti paesi oggi colpiti dai nuovi provvedimenti americani i dazi americani potrebbero persino rappresentare una sorta di sveglia, certamente uno spartiacque tra due diverse ere nei loro rapporti internazionali, sia in senso economico che non. Il tutto acquisisce ancor più pregnanza qualora si consideri pure la recente sospensione di USAID, andata ad impattare proprio su molti di quei paesi. La chiusura di USAID e i nuovi dazi, combinati insieme, possono  suonare per tutti questi paesi in via di sviluppo come una vera e propria dichiarazione di guerra economica, commerciale ed umanitaria, ma nel medio e lungo periodo potrebbe sostanziarsi pure in uno stimolo a sviluppare la loro economia interna, a diversificarla e del pari a diversificare anche il rapporto coi propri partner economici, commerciali e tecnologici. Così potranno affrancarsi maggiormente da certi gravami e condizionamenti di stampo neocoloniale, sottrarsi a certe “carità pelose” come quelle finora incarnate da USAID e da altri aiuti umanitari occidentali, che hanno sempre comportato delle sgradite e prevedibili contropartite vista la forte influenza vantata sulla loro politica interna, ed in tal modo rafforzare anche la loro sovranità in senso politico, economico e produttivo. Per quanto tutt'altro che facile, sarà comunque un passo inevitabile per chiudere la pagina novecentesca del “neocolonialismo con sembianze umanitarie”, avvicinandosi maggiormente all'era delle cooperazioni win-win come unica regola di rapporto e sviluppo tra Stati. Ci vorrà il tempo che ci vorrà, ma ben venga che se ne comincino a posare le prime pietre.

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