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Dopo gli Houthi e Security Belt-2025, gli Stati Uniti vogliono riaffermare l'esclusiva nel Golfo di Aden

2025-03-16 15:10

Filippo Bovo

Dopo gli Houthi e Security Belt-2025, gli Stati Uniti vogliono riaffermare l'esclusiva nel Golfo di Aden

Tre giorni prima che Donald Trump annunciasse la sua catena di bombardamenti “ritorsivi” sugli Houthi, che a seconda delle dichiarazioni potrebbe dura

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Tre giorni prima che Donald Trump annunciasse la sua catena di bombardamenti “ritorsivi” sugli Houthi, che a seconda delle dichiarazioni potrebbe durare giorni o persino settimane, Cina, Russia ed Iran avevano tenuto le loro annuali esercitazioni navali Security Belt-2025, in una vasta area spaziante dal porto iraniano di Chabahar fino alle acque del Golfo di Aden, davanti alle coste yemenite. La Casa Bianca aveva dunque bisogno di riprendersi la scena nella zona, dopo che altri gliel'avevano sottratta, lanciando un segnale certamente sgradito a Washington come tra i suoi alleati, di fine della vecchia “esclusività” nell'esercitare il predominio sulla regione e sui suoi traffici ed interessi economici. Un'idea, quella della violata “esclusività”, piuttosto imperiale e che Washington tende insieme a molti suoi alleati a “proiettare” su tutti quei suoi interlocutori che puntualmente, secondo le ormai superate logiche da Guerra Fredda e da “muro contro muro”, vede in maniera inappellabile come suoi ostili ed inconciliabili rivali; determinati come tali ad applicare nei suoi confronti quella politica di “grande potenza” che disinvoltamente ha usato nei loro confronti finché gli equilibri economici, strategici ed internazionali glielo hanno consentito.  Per giunta, proprio in quelle stesse ore in cui le navi della marina militare cinese, russa ed iraniana avviavano le loro annuali esercitazioni, a Jeddah in Arabia Saudita le parti americana ed ucraina s'incontravano per concordare una proposta di tregua da sottoporre poi al Cremlino, nel frattempo concordando anche la ripresa delle forniture militari americane e della copertura d'intelligence a Kiev. Quest'ultima novità, non propriamente gradita a Mosca, nei giorni seguenti avrebbe non a caso trovato una prevedibile risposta nell'aumento della pressione militare russa sulle forze di Kiev lungo tutto il fronte così come nella regione di Kursk. 

 

Ma non erano solo questi i motivi: proprio nei giorni precedenti gli Houthi, scaduto l'ultimatum precedentemente rivolto alle autorità israeliane di tornare a colpire Israele se non avessero lasciato entrare aiuti umanitari a Gaza, erano tornati ad attaccare vari obiettivi israeliani, con un troppo fastidioso per quanto censurato successo. Riaffermare la presenza nell'area, per gli Stati Uniti, si poneva dunque come un ulteriore imperativo, anche per riassicurare maggiormente i preoccupati alleati israeliani ed evitare che quest'ultimi, agendo di propria sponte, li ponessero in una spiacevole condizione di “non ritorno”. Il "Triangolo d'Oro" spaziante tra gli Stretti di Bab el-Mandeb, di Hormuz e di Malacca è una zona molto sensibile per gli interessi economici di tutto il mondo: chiunque vi potrà detenere un maggior controllo rispetto agli altri godrà sempre di un intuibile vantaggio sulle altre potenze concorrenti. Per gli Stati Uniti “depotenziare” o meglio ancora debellare gli Houthi sarebbe dunque un risultato fondamentale, anche perché tra le tante cose, oltre a riaffermare il loro ruolo tra Medio Oriente e Africa Orientale, fornirebbe una maggior sicurezza pure ad Israele, che proprio del loro ruolo e dei loro interessi è uno dei suoi essenziali garanti in tutta la regione. Inoltre darebbe anche una maggior credibilità al non troppo attendibile, per il momento, progetto dell'IMEEC (India-Middle East-Europe Economic Corridor), quella "Via del Cotone" che dovrebbe far tardiva ed improvvisata concorrenza alla BRI (Belt and Road Initiative), qua a tutti più comunemente nota come "Nuova Via della Seta", e che peraltro proprio in Israele trova uno dei suoi passaggi e tutori di primaria rilevanza. Senza poi contare che una parte del mondo imprenditoriale e politico israeliana guarda ancora con interesse alla possibilità di poter ghermire una parte di Gaza se non tutta per potervi più comodamente realizzare non soltanto una serie d'insediamenti civili, portuali e militari che alimenterebbero progetti ed investimenti miliardari, ma anche il Canale Ben Gurion teso a far concorrenza al parallelo Canale di Suez, una delle rotte preferenziali della BRI; quello israeliano, invece, sarebbe il canale primario per i traffici legati all'IMEEC, terminale di una vasta rete viaria e ferroviaria che dagli Emirati Arabi Uniti raggiungerebbe a quel punto i porti di Israele, e non solo. Ma ad ogni modo rimane piuttosto difficile per gli Stati Uniti poter pensare di debellare gli Houthi, considerando che già da più di un anno insieme ad Israele ed Inghilterra li colpiscono anche piuttosto violentemente, sia nel quadro dell'Operation Prosperity Guardian che al di fuori, senza comunque mai riportare tangibili risultati tolte le numerose condanne internazionali dovute alle tante vittime lasciate tra la popolazione civile.

 

Esattamente quanto, giusto per rimanere davanti alle acque del Golfo di Aden e dintorni, rimane sempre piuttosto difficile pensare che con varie lusinghe e pressioni gli Stati Uniti potranno mai convincere le cancellerie di paesi come Sudan, Somalia e persino del suo stato separatista del Somaliland ad accettare i Palestinesi da "esiliare" da Gaza, come guarda caso varie agenzie sono tornate a ripetere in queste ultime ore. Il Sudan e la Somalia hanno infatti prontamente respinto la proposta, col Somaliland che al momento non ha ancora sciolto le riserve: date le trattative già in atto tra Stati Uniti ed Israele con le sue autorità per riconoscerne l'indipendenza in cambio di basi navali e militari sulle sue coste, a Washington e Tel Aviv sperano in un sì. Così pure Emirati Arabi Uniti ed Etiopia, coinvolti in questa operazione a loro volta, e non soltanto per degli analoghi presidi sulle coste di un Somaliland eventualmente indipendente: Abu Dhabi infatti vi svolgerebbe un ruolo di "munifica finanziatrice", mentre Addis Abeba d'ulteriore e possibile "paese d'asilo". Prima, però, servirà un po' d'ordine sul piano politico e diplomatico: dopotutto, di fronte all'impraticabilità d'eseguire un'evacuazione di Gaza a fronte di un conflitto sempre aperto e di un Hamas tutt'altro che sconfitta, la Casa Bianca ha accettato il più concreto per quanto sempre assai faraonico piano di ricostruzione presentato dall'Egitto e dagli altri paesi arabi, mentre Addis Abeba, di fronte alla rafforzata presenza della Turchia e dell'alleanza tra Egitto ed Eritrea in Somalia ha del pari preferito accettare un accordo con Mogadiscio, che implica proprio la rinuncia alle mire etiopiche sulle coste del separatista Somaliland.
 

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