
Nei giorni in cui a Pechino si tengono le Due Sessioni, ovvero il ciclo di riunioni annuali dell'Assemblea Popolare Nazionale e della Conferenza Consultiva Politica del Polo Cinese, i due massimi organi legislativi del paese, la Cina pare più attiva che mai nei campi politico ed economico, a tacer poi di quello diplomatico. Si parla di obiettivi davvero ambiziosi ma pur sempre a portata di mano per il gigante asiatico, come il mantenere una crescita economica del 5%, creare oltre 12 milioni di nuovi posti di lavoro, sostenere una crescita dell'indice dei prezzi al consumo del 2%, destinare 734 miliardi di yuan al bilancio del governo centrale, nonché continuare a supportare in via sempre maggiori le industrie emergenti e i progetti contro i cambiamenti climatici. Non sarebbero neanche tutti gli obiettivi contemplati, ma non appena le Due Sessioni saranno terminate ne avremo certamente una più ampia panoramica.
Tornando ai rapporti diplomatici e alla cooperazione con l'estero, ci troveremmo dinanzi ad una materia davvero molto vasta da esaminare, nella cui attualità spiccano tuttavia dei punti che potremmo dire fermi. Da una parte la forte e dinamica sinergia ormai stabilitasi con altri grandi paesi emergenti quali la Russia, come attestato anche dalla visita del segretario del Consiglio di Sicurezza russo Sergey Shoigu a Pechino, dov'è stato ricevuto dal Presidente Xi Jinping per affrontare vari temi di comune rilevanza sia regionale che internazionale; dall'altra la non facile relazione con altri grandi attori che probabilmente ancora faticano a lasciare alle proprie spalle la mentalità da Guerra Fredda, come in primo luogo gli Stati Uniti. Con Washington pesano vari temi, dall'Isola di Taiwan e il rispetto del principio di “una sola Cina” stabilito dalla Risoluzione ONU 2578 e dalle successive Dichiarazioni Congiunte, a cui gli Stati Uniti non possono di là da certe loro esternazioni venir meno, ai dazi che oltre ad inasprire i rapporti economici e commerciali sfociano anche in una politica di discredito nei confronti di Pechino come quella rappresentata dalle speculazioni sul Fentanyl. Di questo tema avevamo trattato già mesi fa, e certamente non apparirà ora inopportuna la lettura del Libro Bianco sul contributo cinese al controllo del Fentanyl e di altre sostanze correlate, apparso proprio in questi giorni.
Nel caso di Taiwan e più ampiamente di tutta l'area dell'Indo-Pacifico, gli Stati Uniti non dovrebbero proiettare su Pechino la loro stessa mentalità egemonica, evitando pertanto di attribuirle obiettivi di espansione strategica e globale di tal genere; inoltre non dovrebbero neppure distorcere il principio di “una sola Cina”, invocando che nessun fattore modifichi lo status di Taipei, già di fatto giuridicamente concordato tra Cina e Washington sin dagli Anni ‘70 coi dispositivi diplomatici summenzionati. Quanto al dramma sociale americano dovuto alla drammatica diffusione del Fentanyl e ai suoi effetti, gli Stati Uniti del pari non dovrebbero farne un pretesto politico per giustificare forti rialzi alle tariffe doganali sull’export cinese, esattamente come hanno inteso fare anche con Canada e Messico: tale espediente, oltre ad avere forti ricadute commerciali, ne ha anche sulla credibilità internazionale di Washington, disposta a presentarsi agli occhi degli altri come un paese che, anziché risolvere in modo pacifico e costruttivo le proprie piaghe sociali, preferisce cavalcarle per alimentare conflittualità coi propri interlocutori nel mondo. Infine, anche rimestare la disinformazione sull'origine del Covid-19, come recentemente fatto dalla Casa Bianca, non appare indice di grande saggezza: l'OMS ha già provato, con studi che sono frutto del lavoro dei massimi ricercatori mondiali, che un'origine del virus da una fuga dai laboratori cinesi è, quanto altre ipotesi di stampo complottista, meno che inverosimile.
Proprio in questi giorni, mentre a Pechino s'avviano i lavori delle Due Sessioni, a Washington l'Ambasciatore cinese Xie Feng ha ribadito quanto sia importante sforzarsi perché tra Cina e Stati Uniti si stabilisca un clima costruttivo, improntato alla coesistenza pacifica e al mutuo rispetto. Uno scontro, come paventato dalla politica americana vieppiù muscolare, non vedrebbe alcun vincitore, mettendo oltretutto in pericolo il bene e la prosperità del mondo intero; una cooperazione distesa e produttiva per entrambi, al contrario, si rivelerebbe produttiva per tutti, per il bene comune. Sotto quest'aspetto, neppure Taiwan dev'essere utilizzata da Washington come una pedina per “contenere la Cina”, dimostrando tra le tante cose anche uno scarso rispetto della vita e della dignità dei suoi stessi cittadini; mentre, per quanto concerne i dazi, alle misura americane corrisponderebbero inevitabilmente delle contromisure cinesi, già allo studio. Una simile lotta non conviene agli Stati Uniti, che si troverebbero con un aggravio di problemi già oggi all'ordine del giorno nella loro politica interna, come l'aumento del costo dei materiali da costruzione e dei prezzi nei supermercati, segnati anche da correlati problemi nella filiera delle forniture, e l'inflazione che morde il potere d'acquisto dei salari. Peraltro dazi come quelli americani, del 10% sui prodotti cinesi e del 25% su acciaio ed alluminio, vanno anche ad impattare notevolmente sulle economie terze, a cominciare da quella dell'Unione Europea, per la quale a sua volta s'intravedono nuovi inasprimenti commerciali sempre da parte di Washington. Il commercio mondiale non è un sistema a compartimenti stagni.
Quanto a due grandi questioni d'interesse internazionale come la risoluzione dei conflitti in Ucraina e in Medio Oriente, la posizione cinese è ben nota da tempo e non necessiterebbe d'ulteriori rimarcature, sebbene nel botta e risposta tra grandi attori internazionali diventi sempre più inevitabile dover talvolta ribadire anche le cose più ovvie. La Cina, che non ha responsabilità di sorta nell'origine e nell'alimentazione di nessuno dei due conflitti, non intende veder puntato su di sé l'indice accusatore di chicchessia, né tantomeno può e deve provvedere alle omesse responsabilità di altri. Ciò, come molti avranno notato controllando le notizie dei vari giornali, è stato ribadito proprio pochi giorni fa dall'Ambasciatore cinese in Italia, Jia Guide, con un'importante intervista alla rivista Fanpage, a cui vi rimandiamo con questo link.