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Dietro agli attriti tra Stati Uniti e Sudafrica: i tanti retroscena

2025-02-14 10:00

Filippo Bovo

Dietro agli attriti tra Stati Uniti e Sudafrica: i tanti retroscena

In un suo tweet su X di pochi giorni fa, il Segretario di Stato Marco Rubio ha annunciato che non parteciperà al summit G20 di Johannesburg, previsto

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In un suo tweet su X di pochi giorni fa, il Segretario di Stato Marco Rubio ha annunciato che non parteciperà al summit G20 di Johannesburg, previsto per il 22 e 23 novembre prossimi. Prima d'allora passerà del tempo e nel frattempo molte cose potranno anche cambiare, tuttavia tra le ragioni addotte dal nuovo Segretario di Stato USA vi sarebbero l'uso del G20 da parte del Sudafrica per portare avanti "solidarietà, uguaglianza e sostenibilità" (sic!) e soprattutto una certa sua legge recentemente introdotta sull'esproprio dei terreni ai vecchi proprietari d'origine inglese ed olandese allo scopo di favorire una redistribuzione dei terreni più vantaggiosa per i piccoli coltivatori sudafricani. Si tratterebbe invero della terza legge del genere introdotta dalla fine dell'apartheid, come le altre due difficilmente in grado di scalfire una situazione che vede gli eredi degli antichi colonizzatori possedere ancor oggi oltre il 90% dei terreni coltivabili nel paese, lasciando ai coltivatori locali soltanto le briciole. Ma evidentemente, come già espresso anche da dei precedenti e non proprio lusinghieri commenti di Trump e Musk, peraltro quest'ultimo discendente proprio di una di quelle grandi famiglie di proprietari sudafricani, anche una piccolissima e timidissima correzione ad un'apartheid tuttora socio-economicamente vigente in Sudafrica appare inaccettabile. 

 

La montante aggressività della nuova Amministrazione americana verso il Sudafrica trova in questa nuova legge soprattutto un casus belli, visto che dietro di sé cova in realtà un ben più ampio disegno di riorganizzazione dell'approccio americano al Continente. Il Sudafrica, va ricordato, è uno dei principali motori dell'integrazione continentale, tra i partner più attivi al momento nella crisi del Nord Kivu nella RD Congo come in altre crisi regionali, nonché il primo paese africano ad aver fatto parte dei BRICS, alleanza successivamente allargatasi anche ad altri membri del Continente. Non passa inosservata, in tutto questo scenario, la poca preoccupazione manifestata da Washington verso l'operato del Ruanda nella RD Congo, a sostegno degli M23, con ben pochi tweet da parte del nuovo Presidente americano quanto dal resto del suo staff, che siano Musk, Vance, Rubio o altri ancora. In quella grave crisi che sempre più dilania l'Africa Centrale, e che va degenerando verso una Terza Guerra Mondiale africana, o Terza Guerra del Congo, il Sudafrica sta aumentando sempre più la propria presenza militare insieme agli altri partner della SADC, la Comunità di Sviluppo dell'Africa Meridionale, al fianco del governo di Kinshasa e in netto scontro col governo e le truppe di Kigali, che sostengono gli M23. Ciò pone Pretoria in una guerra indiretta con Washington e i suoi partner occidentali, che invece appoggiano il Rwanda e l'Uganda ricavando dalla loro “colonizzazione paramilitare” delle regioni orientali della RD Congo risorse dal valore di miliardi di dollari, di strategica rilevanza per le loro Big Tech. Sullo sfondo, vi è l'immensa corsa al controllo delle risorse e alle vie che ne assicurino un affidabile passaggio, come ad esempio il vicino Corridio di Lobito, che porta Washington e i suoi partner occidentali a scontrarsi in maniera sempre più frontale e muscolare coi paesi che mirano a riacquistare una maggiore sovranità sviluppando sempre più partnership con le grandi potenze emergenti, come ad esempio Pechino, motore dei BRICS e della “riemersione” africana.

 

Non passa neppure inosservata la riorganizzazione delle varie politiche americane d'aiuto, influenza ed ingerenza in gruppi politico-umanitari e governi del Continente condotta in primo luogo con la sospensione dell'USAID, che ha incontrato pronte “ribellioni” in alcuni suoi storici alleati locali, ultimamente parsi a Washington meno affidabili o più sacrificabili. Per non parlare delle pressioni sull'Egitto, paese chiave nel Mondo Arabo, nel Medio Oriente e nell'Africa settentrionale, importante alleato del Sudafrica, per una pace tra Israele ed Hamas che riservi a Gaza e ai suoi abitanti un destino a dir poco irricevibile per il Cairo, come del resto per la stessa Pretoria, anche perché spianerebbe la strada alle antiche mira israelo-americane sulla Penisola del Sinai, sul Nilo sul Mar Rosso. Da decenni, le agende strategiche di Washington e Tel Aviv trovano nelle questioni relative all'Africa orientale, dal sud al nord, dai Grandi Laghi a tutta la Valle del Nilo compresa la regione del Corno e il Mar Rosso, una sinistra ed oggi sempre più puntuale coincidenza. Non soltanto il Cairo e Pretoria ne sono consapevoli, ma anche i loro principali alleati internazionali, che in quelle grandi macroregioni hanno numerosi governi alleati e partner e vi hanno stabilito negli anni immense cooperazioni in materia economica, commerciale, infrastrutturale e via dicendo. 

 

Anche il Sudafrica, come altri paesi africani, s'è visto colpito dalla sospensione improvvisa degli aiuti americani, primariamente diretti soprattutto alla lotta all'AIDS. Il Presidente sudafricano Cyrill Ramaphosa, dopo le prime pesanti critiche a Washington, ha in ogni caso espresso la capacità del proprio paese di rimediare al vuoto lasciato dall'assistenza americana; ciò, peraltro, testimonierebbe anche la capacità del paese d'operare in maniera autonoma contro una simile piaga, al contempo sviluppando e rafforzando la propria collaborazione con altri paesi indipendenti. L'attacco sferrato da Washington per la nuova legge sulla redistribuzione dei terreni, tuttavia, ha rappresentato un netto salto di qualità, costituendo una vera e propria ingerenza nelle questioni politiche interne di Pretoria: difficilmente non potevano non esserci delle conseguenze, che sono infatti puntualmente arrivate. 

 

Fino ad oggi gli Stati Uniti hanno guadagnato circa 25 miliardi di dollari all'anno dalle attività delle loro imprese in Sudafrica, dovuti in primo luogo alla sua ricca industria mineraria. E' un guadagno che ora viene meno, perché il governo sudafricano ha deciso di bloccare tutte le attività delle imprese americane sul proprio territorio: sono delle vere e proprie sanzioni, che fanno seguito ad un crescendo di dissapori dapprima sorti con la denuncia sudafricana di Israele alla Corte Internazionale di Giustizia e alla Corte Criminale Internazionale, poi rafforzatisi col sostegno americano al Rwanda e agli M23 in RD Congo e il congelamento di USAID e alla scoperta delle sue attività non proprio benevole nel paese, ed infine esplosi con le ingerenze dell'Amministrazione Trump sulla nuova legge sull'esproprio dei terreni alle vecchie famiglie anglosassoni. 

 

Ormai venuto meno l'antico unipolarismo a guida americana, nella nuova era del multipolarismo gli Stati Uniti, se realmente intendono mantenere rapporti costruttivi coi propri partner ed interlocutori, allora devono maggiormente riconsiderare una politica del mutuo rispetto anziché portare avanti ad oltranza l'antico approccio basato su ingerenze ed ultimatum. Se davvero Rubio non sarà presente al vertice del G20 di Johannesburg, visto che quest'anno sarà proprio il Sudafrica a guidare il grande forum economico, vorrà dire che Washington non avrà ancora sviluppato una piena riconsiderazione della propria condotta; ma niente vieta che la nuova Amministrazione, nonostante il suo burrascoso debutto, non cominci più avanti a ritrovare una maggior pacatezza. Mancano pur sempre nove mesi all'appuntamento, e una sana diplomazia potrà nel frattempo sanare molte falle difficilmente risolvibili con dei tweet su X o su un altro social.  

 

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