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Una guerra che non infuria soltanto a Gaza: il "caso ONU"

2023-12-10 19:00

Filippo Bovo

Una guerra che non infuria soltanto a Gaza: il "caso ONU"

Il pomeriggio dello scorso 8 dicembre ha visto naufragare le ultime speranze di un pur tardivo cessate il fuoco a Gaza, dinanzi al veto USA al Consigl

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Il pomeriggio dello scorso 8 dicembre ha visto naufragare le ultime speranze di un pur tardivo cessate il fuoco a Gaza, dinanzi al veto USA al Consiglio di Sicurezza ONU ad una risoluzione presentata dagli Emirati Arabi Uniti e sostenuta da oltre 97 paesi che faceva seguito alla lettera urgente presentata dal Segretario Generale Antonio Guterres il mercoledì precedente. Riunitosi già fin dal mattino, ora locale di New York, il Consiglio di Sicurezza ha messo ai voti la risoluzione nel pomeriggio con 13 paesi dichiaratisi a favore, l'Inghilterra astenuta e gli USA contrari. Non a caso il rappresentante degli Emirati Arabi Uniti Mohamed Issa Abushahab, nel presentarla all'inizio del voto, l'aveva definita “chiara nelle sue intenzioni: un immediato cessate il fuoco umanitario”, con l'obiettivo di salvare vite umane a dover prevalere su ogni altra considerazione. Il Segretario Guterres, ricordando che “gli occhi del mondo - e gli occhi della storia - stanno guardando”, ha avvisato che “non esistono più le condizioni per un’efficace fornitura di aiuti umanitari” nonostante l'ONU sia “totalmente impegnato a rimanere e a fornire risultati alla popolazione di Gaza”. Appellandosi all'articolo 99, Guterres ha poi presentato la risoluzione in cui si parla di “situazione catastrofica” a Gaza, del bisogno di proteggere sia i civili palestinesi che israeliani, avviare un immediato cessate il fuoco umanitario e garantire il rilascio immediato ed incondizionato degli ostaggi e l'accesso umanitario. Mancava tuttavia la condanna agli attacchi condotti da Hamas il 7 ottobre, e questo insieme agli altri aspetti contenuti nella risoluzione rappresentava ovviamente un aspetto irricevibile per Israele come per gli USA loro alleati principali.

 

L'ambasciatore dell'Inghilterra, Barbara Woodward, ha infatti subito affermato che il suo paese non può votare a favore di una risoluzione che non condanni le azioni di Hamas del 7 ottobre, mentre Israele deve mantenere la sua capacità d'affrontarne la minaccia nel rispetto del diritto umanitario internazionale. Tuttavia, ha continuato, rimane importante continuare a lavorare affinché s'approdi alla soluzione dei due Stati, così da garantire “la statualità ai palestinesi, la sicurezza ad Israele e la pace alle persone di entrambe le parti”. Termini più chiari e duri sono invece stati usati dagli USA, il cui Vice Rappresentante Permanente Robert A. Wood ha fatto proprie le parole di Israele parlando di una “risoluzione avulsa dalla realtà”, pur facendo garanzie sulla buonafede manifestata da Washington a lavorare sul testo in modo da aumentare le opportunità di un rilascio degli ostaggi e di una maggior consegna d'aiuti a Gaza. Lamentandosi che tutte le raccomandazioni USA “sono state ignorate”, ha concluso che la risoluzione ”non avrebbe spostato l’ago della bilancia sul terreno in alcun modo concreto. Quindi, con rammarico, non abbiamo potuto sostenerla”. E' proprio il fatto che una simile risoluzione, secondo l'ambasciatore americano, non “avrebbe spostato l'ago della bilancia sul terreno in alcun modo concreto” a porre però i maggiori dubbi sulla reale “buonafede” assicurata dagli USA a lavorare su un testo che infatti hanno poi bocciato, portando a pensare che la volontà di Washington si sostanzi soprattutto nel tentativo d'ottenere una sorta di “quasi legalizzazione” in sede ONU all'azione di Israele a Gaza. Se così fosse, qualunque possibilità di un cessate il fuoco non può che risultare inaccettabile; ed infatti, sia pur con un linguaggio diplomatico, questa è la chiosa finale: “una ricetta per il disastro per Israele, per i palestinesi e per l’intera regione”. Tutti concetti che anche in seguito, il Rappresentante USA e quello israeliano, Gilad Erdan, hanno infatti ribadito.

 

Diverso invece il parere espresso dal Rappresentante Permanente della Francia, Nicolas de Rivière, che ha votato a favore della risoluzione, approvando le ragioni dell'accorato richiamo del Segretario Guterres e la sua richiesta di “una tregua umanitaria immediata e duratura”. In prima battuta ha dichiarato di non ravvedere “alcuna contraddizione tra la lotta al terrorismo e la protezione dei civili, nel rigoroso rispetto del diritto internazionale umanitario”, auspicandosi la capacità del Consiglio “di condannare gli attacchi di Hamas e quelli di altri gruppi terroristici del 7 ottobre”. Ma, “ancora una volta, questo Consiglio ha fallito. Con una mancanza d'unità e rifiutando d'impegnarsi realmente nei negoziati, la crisi a Gaza sta peggiorando e rischia di estendersi”. La linea di Parigi manifesta un consistente smarcamento da quella inglese e soprattutto americana, più vicine ad Israele, che già in passato era stato possibile ravvisare nell'interessamento francese ad una proposta di pace nel conflitto ucraino come quella cinese; ed ha trovato un ovvio ed ancor più forte eco nelle considerazioni espresse dall'Osservatore Permanente dello Stato osservatore di Palestina, Riyad Mansour, che ha definito “oltremodo deplorevole e disastroso” che il Consiglio di Sicurezza non sia stato ancora in grado d'assumersi le proprie responsabilità di fronte alla crisi a Gaza. “Milioni di vite palestinesi sono in bilico, ognuna di esse è sacra e merita di essere salvata”; eppure, anziché lasciare che il Consiglio di Sicurezza potesse seguire il suo mandato con una chiamata chiara, dopo due mesi di guerra, “ai criminali di guerra viene dato più tempo per perpetrare i loro crimini”. “Come si può giustificare tutto questo? Come si può giustificare il massacro di un intero popolo?”, è stata la sua domanda finale, che nel corso del dibattito è andata rincarandosi ancor più con esplicite accuse ad Israele di ”pulizia etnica", “crimini di guerra, crimini contro l'umanità” e “genocidio”. Non diversi i pareri dei rappresentanti degli altri paesi dichiaratisi a favore, come ad esempio il russo Dmitriy Polyanskiy, secondo cui la diplomazia USA starebbe “lasciando terra bruciata nella sua scia” chiedendosi come Washington possa continuare a guardar negli occhi i suoi partner dopo aver bocciato per l'ennesima volta una risoluzione per un cessate il fuoco a Gaza. 

 

La riunione, inizialmente aperta, ha conosciuto vari momenti d'asprezza che hanno portato a temporanee interruzioni, con l'elaborazione di nuove bozze per le quali si sono riuniti anche i rappresentanti di tutti gli altri paesi firmatari nonché passaggi dalla riunione a telecamere accese a quella a porte chiuse, senza che tuttavia si registrassero tra i membri del Consiglio di Sicurezza significative variazioni d'equilibrio. Se la rappresentante inglese è sembrata attenuare le posizioni iniziali e quello francese a sua volta avvicinarvisi col tentativo d'incoraggiarne un voto favorevole, il rappresentante USA Robert A. Wood ha invece ribadito di notare un “fondamentale scollamento tra le discussioni in quest’aula e le realtà sul campo”, ad esempio dubitando della reale disponibilità di Hamas a consegnare gli ostaggi qualora Israele deponesse le armi. Pertanto gli USA non appoggeranno “le richieste di un cessate il fuoco immediato. Questo non farebbe altro che piantare i semi per la prossima guerra, perché Hamas non ha alcun desiderio di vedere una pace duratura, di vedere una soluzione a due Stati”. Inoltre ”In ogni conversazione abbiamo anche sottolineato che Israele deve evitare ulteriori spostamenti di massa di civili nel sud di Gaza, molti dei quali sono precedentemente fuggiti dalla violenza", che tuttavia suona quasi come una difesa americana della linea israeliana a far sfollare la popolazione della Striscia nonostante la contemporanea rassicurazione che "In nessun caso gli Stati Uniti sosterranno il trasferimento forzato di palestinesi da Gaza o dalla Cisgiordania”. 

 

Comprensibile il successivo crescendo di botta e risposta con gli altri rappresentanti portatori di ben diverse visioni, come ad esempio il Rappresentante Permanente della Cina Zhang Jun che, ringraziando il Segretario Generale Guterres per la sua dichiarazione sulla gravità della situazione a Gaza, ha riconosciuto come la proposta presentata dagli Emirati Arabi Uniti rappresenti il sentire della comunità internazionale e trovi il sostegno congiunto di Pechino. Solo un immediato cessate il fuoco salverà altre vite aprendo la via alla soluzione dei due Stati, è infatti quanto ha espresso; e ciò, diplomaticamente parlando, equivale a mettere il dito nella piaga, perché intuibilmente è proprio allo scopo d'impedire l'arrivo ad una tale situazione che si muovono quanti, come gli USA, reiterano di volta in volta la linea del veto aggrappandosi a questioni di lana caprina. La sua conclusione, pertanto, è che “Una crisi più ampia è imminente”, con la pace e la sicurezza regionale “sull’orlo del precipizio”; invitando tutti gli Stati membri a darsi da fare visto che “il mondo sta guardando”. Non diverso quanto espresso dal Rappresentante russo, Dmitriy Polyanskiy, che addirittura ha ricordato come, dopo i progressi conosciuti da entrambe le parti durante la pausa umanitaria, Israele sia però passata ad una nuova fase godendo del ”sostegno proattivo" degli USA, intraprendendo una svolta bellica ancora più sanguinaria. Ha pure messo in guardia dagli ulteriori piani previsti da Israele, che prevederebbero ad esempio l'allagamento di Gaza con acqua di mare, giudicandolo un crimine di guerra, e ricordato che si devono “salvare i civili palestinesi dallo sterminio” senza dimenticare il finale traguardo della “formula dei due Stati”. L'incoraggiamento cinese e russo ha rilanciato la proposta degli Emirati Arabi Uniti, col suo rappresentante Mohamed Issa Abushahab che ha ricordato come molti civili siano rimasti a Gaza vedendo “il loro intero mondo sistematicamente demolito davanti ai loro occhi”, ricevendo troppo pochi aiuti visto che gli operatori umanitari temono di venir uccisi. “Nonostante la recente pausa temporanea, la violenza e il pericolo per i civili non sono diminuiti, anzi questo conflitto è ora passato a una nuova e più pericolosa fase”, ha quindi detto, ricordando l'assedio israeliano a Khan Yunis e ad altre località nel sud della Striscia, con la conseguenza che “Non c’è letteralmente alcun rifugio sicuro per i milioni di persone intrappolate e sotto attacco”. Parole rilanciate dal rappresentante palestinese, Riyad Mansour, che come già accennato in principio ha usato termini ancora più aspri, ricordando l'universalità dei diritti umani e il contemporaneo “eccezionalismo israeliano” che “deve finire, e deve finire ora”. “Smettetela di riscrivere il diritto internazionale per adattarlo ai crimini israeliani e smettetela di invocare il rispetto del diritto internazionale mentre sostenete un’aggressione che lo ha ridotto a brandelli”, ha detto rivolgendosi soprattutto al rappresentante israeliano e al suo principale sostenitore in aula, quello USA: “mostrateci rispetto, non a parole ma nei fatti, mostrateci rispetto per le nostre vite e i nostri diritti”. Non facile, tuttavia, tenendo conto che per il rappresentate israeliano Gilad Erdan la stabilità regionale in Medio Oriente si potrà raggiungere solo “quando Hamas sarà eliminato”, e questo allo stato attuale implica il proseguimento del conflitto; accusando il gruppo delle gravi condizioni in cui vivono i palestinesi a Gaza ed affermando che “non ha nemmeno permesso alla Croce Rossa di visitare" i 138 ostaggi ancora detenuti, "un crimine di guerra ripugnante”. 

 

Amare a quel punto le conclusioni del Segretario Guterres, per il quale non vi sono più “condizioni per un’efficace erogazione degli aiuti”, con “un alto rischio di collasso totale del sistema di supporto umanitario a Gaza” con conseguenze umanitarie disastrose, oltre ad un aumento degli sfollati sull'Egitto che sarebbe insostenibile. Tutto ciò sarebbe devastante “per la sicurezza dell’intera regione”, ricordando che la Cisgiordania occupata, il Libano, la Siria, l’Iraq e lo Yemen sono già stati coinvolti nel conflitto in varia misura", con “un serio rischio di aggravare le minacce esistenti al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale”. Inoltre, sono ormai più di 130 gli operatori ONU rimasti uccisi, e “questa è la più grande perdita di vite umane nella storia di questa Organizzazione. Alcuni dei nostri dipendenti portano i loro figli al lavoro, così sanno che vivranno o moriranno insieme”, mentre sul campo dal principio delle operazioni militari israeliane “stati uccisi più di 17.000 palestinesi, tra cui oltre 4.000 donne e 7.000 bambini. Decine di migliaia sono i feriti e molti i dispersi, presumibilmente sotto le macerie”, mentre più di metà degli sfollati nel sud della Striscia stanno “semplicemente morendo di fame”. “Gli attacchi dall’aria, dalla terra e dal mare sono intensi, continui e diffusi”, tanto che alla gente di Gaza “viene detto di muoversi come palline da flipper umane – rimbalzando tra frammenti sempre più piccoli del sud, senza alcuna delle basi per la sopravvivenza”. Rispondendo soprattutto ai rappresentanti israeliano ed americano, Guterres ha ricordato che ”Non c’è alcuna giustificazione possibile per aver deliberatamente ucciso circa 1.200 persone, tra cui 33 bambini, per averne ferite altre migliaia e per aver preso centinaia di ostaggi”, e che “la brutalità perpetrata da Hamas non può mai giustificare la punizione collettiva del popolo palestinese". 

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