Come già accennato nell'ultimo articolo dedicato al conflitto in Ucraina, ammettere che le cose non stiano andando proprio nel modo più auspicato dai vertici della NATO e di Kiev non è più un tabù, e ciò quantomeno permette che siano maggiormente tollerati dei suggerimenti che in altri tempi sarebbero stati invece ferocemente stigmatizzati. Ne è una prova il Wall Street Journal dello scorso 16 novembre, con un articolo a firma di Eugene Rumer ed Andrew Weiss dal titolo più che chiaro: “E' ora di finirla col pensiero magico di una sconfitta della Russia”. Un simile tema, ben lo sappiamo, soltanto fino a poche settimane fa sarebbe parso a dir poco profano, mentre oggi le reazioni ufficiali sembrano di tutt'altra portata. Nell'articolo si può leggere che “Putin ha ragione di credere che il tempo sia dalla sua parte. Sulla linea del fronte non ci sono indicazioni che la Russia stia perdendo quella che è diventata una guerra d'attrito. L'economia russa è stata sbatacchiata, ma non è a pezzi. La permanenza al potere di Putin è stata paradossalmente rafforzata dalla fallita ribellione di Yevgeny Prigozhin a giugno. Il sostegno popolare alla guerra resta solido, e l'élite che sostiene Putin non si è frantumata”. E che quanto descritto non sia poi tanto lontano dal vero lo provano anche numerosi altri elementi, nonché tanti altri articoli “fioccati” nel frattempo: l'ultimo dei quali, a riprova del forte sostegno goduto da Putin in patria, ci conferma che addirittura il Presidente russo si ricandiderà anche alle elezioni presidenziali del 2024; mentre un altro, di soltanto qualche giorno prima, ci ricorda come un sempre ottimista Jens Stoltenberg inizi ora a riconoscere come dall'Ucraina ci si debba aspettare ben altre notizie che quella di una trionfale vittoria sul campo contro un nemico russo finora dato fin troppo fantasiosamente per spacciato.
Tornando all'articolo del WSJ, i lettori avranno intuito che per “pensiero magico” altro non s'intenda che quel “wishful thinking” o “pensiero inquinato dal desiderio” che spesso e volentieri ha fatto non pochi danni nelle strategie occidentali, e non soltanto occidentali: bene, pertanto, che ora s'inizi a fare quantomeno qualche ammissione. Anche perché, che tutti questi fatti siano riconosciuti da molti comuni cittadini almeno fin dal febbraio 2023, ovvero dall'inizio dell'attuale conflitto, è più che noto; la differenza, gradita benché fortemente tardiva, sta nel fatto che ora li riconoscono e li ammettano anche i canali ufficiali, e così pure l'alto mondo politico, che precedentemente spingevano in tutt'altra direzione. Ne abbiamo un'altra prova in un articolo di Foreign Affairs, con un articolo a firma di Richard Haas e Charles Kupchan, dove apertamente si parla di una "mancata corrispondenza" tra i fini e i mezzi disponibili: per tale ragione gli USA e gli alleati europei dovrebbero ora convincere l'Ucraina a negoziare un cessate il fuoco e a passare dall'attacco alla difesa. Ovviamente, e qua il “pensiero magico” citato dal WSJ sembrerebbe quasi rientrare dalla finestra dopo esser uscito dalla porta, questo non dovrebbe coincidere con una rinuncia ucraina a recuperare tutto il proprio territorio, ma semmai ad occuparsi del fatto che "le priorità a breve termine devono passare dal liberare più territorio al difendere e riparare quello sotto il suo controllo che è più dell'80%". Anche successivamente il “pensiero magico” torna a far capolino: secondo gli autori, qualora non si arrivasse comunque ad un cessate il fuoco il cambio di strategia risulterebbe comunque utile, perché "limiterebbe la perdita continua di uomini, la metterebbe in grado di stornare più risorse per difesa e ricostruzione a lungo termine, e rinforzerebbe il sostegno occidentale dimostrando che Kiev ha una strategia funzionante e diretta ad obiettivi raggiungibili", oltre a convincere la Russia di non poter sperare di durare di più dell'Ucraina e del sostegno datole dall'Occidente, inducendola così a negoziare. Gli auspicati negoziati, senza che si spieghi però come, porterebbero ovviamente ad una ritirata russa da tutto il territorio ucraino, e pure questa è un'altra prova di “pensiero magico” ovvero di “wishful thinking”.
Che il “wishful thinking” continui a far nuovi danni anche tra le menti oggi più critiche, lo vediamo pure nelle penne di Foreign Affairs che ancora in quest'articolo sembrano cadere in considerazioni ben poco realistiche dopo un avvio che bene o male era parso invece un po' più incoraggiante. Non si capisce, ad esempio, perché l'Ucraina dovrebbe offrire millantando un'inesistente condizione di vantaggio un cessate il fuoco alla Russia che quest'ultima sicuramente dovrebbe a sua volta accettare, e che nelle previsioni dei due autori prevederebbe una zona smilitarizzata con la supervisione di organismi internazionali, somigliante molto più allo "scenario coreano" di congelamento definitivo del conflitto che al “piano di pace ucraino”. E' una prospettiva che sembra quasi andare in contraddizione con quanto inizialmente premesso dall'articolo, ma che richiama alla mente quello che era parso un altro vecchio “pallino” degli strateghi USA in vari momenti del conflitto: congelare lo scontro russo-ucraino lasciando sul campo una situazione di “né guerra né pace”. Ed ancor più strano pare che, qualora non s'arrivi ad un cessate il fuoco, il cambio di strategia consistente nell'abbandono d'ogni idea di controffensiva e di recupero del territorio perduto debba addirittura trasformarsi nella strategia di domani. Anche perché, per loro stessa ammissione, “la realtà è che quella che per l'Ucraina è cominciata come una guerra necessaria, una lotta per la sua stessa sopravvivenza, si è trasformata in una guerra per scelta, una lotta per riconquistare la Crimea e la maggior parte della regione del Donbass nell'Ucraina orientale. Non è solo una guerra che non si può vincere; rischia anche di perdere il sostegno occidentale nel lungo periodo”.
Anche se le idee al momento paiono ancora un po' confuse, rimane comunque un fatto che quantomeno in Occidente si cominci a parlare apertamente della necessità di dar spazio a delle trattative e di chiudere il prima possibile col conflitto ucraino. Ne è una prova anche il comportamento del Senato USA, che ha rispedito al mittente la richiesta del Presidente Joe Biden a fornire ulteriori finanziamenti a Kiev: dal 2024, pertanto, non vi saranno più fondi per continuare ad alimentare la guerra dell'alleato Zelensky. Già da tempo i parlamentari USA, in particolare repubblicani, tiravano il freno sul denaro per Kiev, e non a caso lo scorso ottobre nelle trattative per evitare lo “shutdown” gli stanziamenti richiesti dall'Amministrazione Biden per l'Ucraina erano rimasti lettera morta. Tutto questo mentre Joe Biden, oggi sempre più in crisi di popolarità, viene ulteriormente bersagliato dai Repubblicani e dai media americani anche per altri scandali che insieme al figlio Hunter lo riconducono almeno in parte sempre in Ucraina. Il figlio Hunter, soltanto con le nuove accuse per gravi reati fiscali, potrebbe rischiare ora fino a 17 anni di carcere, ed intuibilmente tutte queste non sono proprio notizie che giovano all'immagine politica paterna, men che meno con la campagna elettorale ormai avviata e il rivale Donald Trump da sempre dato in vantaggio. Insomma, è evidente che anche per gli USA vi siano oggi ben altre priorità che il perseguire ad oltranza un conflitto dal quale evidentemente non si può più ottenere altro di più rispetto a quanto già ottenuto. Nuove priorità s'affacciano all'orizzonte, dal Medio Oriente al Pacifico, mentre la macchina elettorale già scalda i motori: e non soltanto negli USA, ma anche tra gli stessi alleati. Dalle elezioni presidenziali USA a quelle europee, sono prevedibili degli smottamenti politici nel breve tempo non facilmente riassorbibili per il vecchio establishment, a tacer poi del voto e dell'instabilità di governo interna a molti singoli alleati europei. Il tutto sullo sfondo di una situazione economica che non suggerisce più miti scenari. Insomma, la parola d'ordine ora è “trattare”: ma come, rimane ancora un mistero.