
Negli ultimi giorni i media italiani hanno alla diplomazia cinese spazi solitamente più ampi rispetto al passato. Sorvoliamo sulle voci in merito ad un presunto invio di peacekeepers cinesi in Ucraina, frutto soprattutto di supposizioni sorte nella stampa italiana ma prive di fonti che ne convalidasse l'autenticità, tant'è che immancabilmente è poi giunta da Pechino la smentita; in fondo, se è vero che la Cina ha una consolidata tradizione nel sostenere nel mondo gli sforzi di pace, sia per via diplomatica che con l'invio di propri contingenti in varie aree di crisi, è anche vero che nel caso ucraino il paese manifesta da sempre una posizione netta e chiara, su chi debba prendersi le responsabilità rivalutando per prima cosa gli strumenti del dialogo. Concentriamoci piuttosto su altri temi, non meno vicini al pubblico italiano anche perché a questi direttamente rivolti.
Lo scorso 28 febbraio per esempio ha destato un profondo interesse l'intervista che l'Ambasciatore Jia Guide ha rilasciato alla rivista Fanpage, una cui rilettura alla luce del dibattito odierno può oltretutto rilevarsi assai attuale. Proprio sul conflitto in Ucraina l'Ambasciatore ha ricordato come la Cina non ne sia di certo l'artefice, ed ancor meno che vi abbia in qualche misura partecipato o collaborato con condotte di cobelligeranza e compiacimento; al contrario, a più riprese ha tentato di arrestarlo con forti richiami, come quello sull'uso delle armi nucleari, oltre a proporre accordi di tregua e di pace. Non solo, ma nel frattempo non s'è sottratta al dovere di fornire un'assistenza umanitaria ai civili in Ucraina, di rivendicare la centralità del rispetto del diritto internazionale e del ruolo di istituzioni come l'ONU, ed invocato un maggior impegno da parte dell'Unione Europea a frenare un conflitto in atto proprio ai suoi confini e nel suo stesso continente. In tal sede, non prima di aver derubricato a fatto ipotetico proprio l'invio di peacekeepers cinesi in Ucraina, ha anche ricordato come ogni sforzo da parte della nuova Amministrazione Trump di allontanare Mosca da Pechino, come da molti paventato, risulti ugualmente ben oltre il fantasioso.
Non sono mancate lunghe risposte anche alle nuove politiche americane volte ad introdurre massicci dazi a danno del commercio con Messico, Canada, Unione Europea e Cina. In quest'ultimo caso, la risposta ad una tassazione americana del 10% per tutti i prodotti importati dalla Cina ha trovato in Pechino una prima reazione nell'applicazione di tariffe del 10 e 15% su carbone e GNL americani; nel frattempo molti economisti hanno richiamato a Washington alla ragione, di fatto sposando l'argomentazione cinese secondo cui nel protezionismo mai vi siano vincitori. A tal proposito l'Ambasciatore ha ricordato come in base a stime di Moody's dal 2018 ad oggi i consumatori americani abbiano sostenuto i costi dei dazi allora imposti alla Cina: è stata dunque l'economia di Washington quella che maggiormente ne ha subito il colpo. Sotto quest'aspetto, dato il loro ruolo di prime due economie mondiali, Stati Uniti e Cina dovrebbero trovare un'armonia favorevole al loro reciproco benessere e con positive ricadute per il mondo intero, non certo rispolverare politiche economiche e commerciali già bocciate dal recente passato.
Ma è su un tema oggi non meno sentito come quello di Gaza e della questione palestinese che l'Ambasciatore ha seccamente risposto alle suggestioni della nuova Amministrazione Trump, di fare della Striscia una nuova “riviera di lusso” sul Mediterraneo, propagandato in modo a dir poco grottesco con un video creato con l'AI e diffuso sui canali social del Presidente americano, respingendole come semplicemente inappellabili. La posizione di Pechino, in quei giorni in cui un accordo di tregua non era stato ancora siglato, era che vi si giungesse; oggi, di fronte alla sua nuova violazione da parte di Israele, che mira ad imporne ad Hamas un altro che gli sia più favorevole, è chiaramente che vi si ritorni e che davvero lo si rispetti. Per la Palestina, e tale posizione non è ovviamente soltanto di Pechino, non può esservi altra soluzione di quella dei “due Stati”, e solo i palestinesi e non altri al loro posto potranno governarla. Sono ad oggi 148 i paesi all'ONU che riconoscono la Palestina con capitale Gerusalemme, oltre ad altri che riconoscono uno status speciale alle loro autorità diplomatiche, nella forma quindi di un riconoscimento parziale.
Sempre sulla questione palestinese e il conflitto mediorientale anche il Ministro degli Esteri Wang Yi, tramite Xinhua, ha ricordato l'impegno cinese affinché si approdi ad una soluzione politica, pacifica e condivisa, in primo luogo col sostegno al piano per la ricostruzione di Gaza proposto dai paesi arabi. Erano i giorni delle Due Sessioni e non era mancato il tempo, a Pechino, per ribadire la formula già espressa dall'Ambasciatore Jia Guide in base alla quale “i Palestinesi governano Gaza”. Qualunque tentativo esterno di sovvertire lo status di Gaza, proprietà del popolo palestinese e parte inalienabile del territorio palestinese, condurrebbe soltanto a nuove situazioni di caos anziché sanare una situazione regionale resa perennemente conflittuale proprio dal protratto disprezzo del diritto internazionale. Quel che oggi vediamo, col sovvertimento dell'accordo di tregua di Israele assecondata dagli Stati Uniti, ne è un'ulteriore riprova.
Un concetto che ovviamente è stato nuovamente ricordato dallo stesso Ambasciatore, soltanto una settimana dopo con un intervento all'ANSA ricordando non soltanto l'impegno di Pechino per il rispetto della pace e del diritto a Gaza e in Medio Oriente, ma anche nel conflitto in Ucraina, nonché l'ormai consolidato successo nello stabilire una sintonia politica tra Arabia Saudita ed Iran. Quest'ultimo, su cui non a caso molte parti politiche e mediatiche in Europa tendono a glissare, è probabilmente una delle dimostrazioni più chiare di cosa possa determinare un impegno perché il mutuo rispetto, la coesistenza pacifica e la complementarietà tra civiltà diventino valori universali per il mondo intero. In un momento come quello attuale, in cui non soltanto Italia e Cina festeggiano i 50 anni dall'avvio dei rapporti diplomatici, ma l'ONU e il mondo intero celebrano gli 80 anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e dalla sconfitta del nazifascismo, apprendere dalle lezioni della storica per comprendere l'importanza di sviluppare rapporti internazionali costruttivi appare dunque un percorso irrinunciabile per l'intera comunità internazionale.