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Tra tante incognite interne ed esterne, ancora lontano per Damasco il ritorno alla normalità

2025-03-14 16:17

Filippo Bovo

Tra tante incognite interne ed esterne, ancora lontano per Damasco il ritorno alla normalità

L'accordo tra il governo di Damasco e le forze curde del SDF, che vede i due protagonisti del conflitto siriano unire i propri territori in una nuova

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L'accordo tra il governo di Damasco e le forze curde del SDF, che vede i due protagonisti del conflitto siriano unire i propri territori in una nuova comune autorità, potrebbe certamente presentarsi come un fatto in sé positivo per assicurare alla Siria una maggior stabilità ed unità nazionale; tuttavia sulle sue fortune gravano numerose variabili, come le concrete volontà del PKK, che attraverso le YPG controlla molto del SDF, di sciogliersi così come garantito dagli accordi recentemente firmati con Ankara ed auspicato dal leader Abdullah Ocalan. Tra circa un mese il PKK dovrebbe riunirsi in Iraq proprio per votare il suo scioglimento e il relativo disarmo, ma sappiamo già che le YPG si sono dichiarate in buona parte contrarie, intendendo proseguire la loro lotta; sul loro destino, tuttavia, graveranno il nuovo status quo a quel punto subentrato tanto in Siria quanto al confine turco-siriano, oltre alla possibilità che gradualmente le truppe americane si ritirino dall'est del paese. 

 

Quest'ultimo fattore, in sé, potrebbe contribuire tanto ad una maggior stabilizzazione regionale, ed in particolare della Siria dove costituiscono una sempre più sgradita presenza, quanto al suo contrario, proprio per il vuoto di potere che potrebbe determinare a favore di altri gruppi concorrenti o per le reazioni che a quel punto potrebbe indurre le stesse YPG ad intraprendere. Quest'ultime, ricorrendo alla coscrizione coatta che non sempre le ha rese molto popolari, potrebbero incontrare crescenti difficoltà a motivare i propri combattenti, con molti di loro che a quel punto s'allontanerebbero rispondendo all'appello di Ocalan. Inoltre andrà pure considerata la concreta capacità di Damasco di portare avanti il matrimonio con le autorità curde siriane, con cui in passato ha comunque collaborato più che bene, a cominciare da quando la sacca di Idlib controllata da HTS, ancora lontana dall'abbattere il governo del Baath, letteralmente si reggeva sul contrabbando di idrocarburi dal nord-est siriano. A quel tempo entrambe ben ammanicate con Washington e Tel Aviv, HTS e SDF proprio come collaboravano sottobanco prima potrebbero continuare a collaborare più che bene anche ora, in un quadro per giunta ben più istituzionalizzato. 

 

Non ultimo, gravano pure le lotte intestine che negli ultimi giorni hanno particolarmente spiccato soprattutto nelle aree costiere siriane, a maggioranza alawita, dove la risposta delle forze di sicurezza governative ha destato non poche condanne per la sua brutalità. In precedenza vi erano stati dei momenti in cui il dialogo tra le nuove autorità governative e le varie minoranze stava producendo degli iniziali ottimismi, tali da far sperare che in futuro le diffidenze e i risentimenti creatisi in anni ed anni di una guerra civile non ancora davvero conclusasi potessero finalmente approdare ad un graduale risanamento. Con le nuove recrudescenze di questi giorni molte ferite ancora fresche sono tornate a sanguinare ed altre si sono riaperte, indicando che per la Siria il ritorno alla normalità sarà un obiettivo sempre molto lontano; anche perché le lotte settarie che dilaniano il paese, a tacer di quelle interne anche a poteri come HTS e SDF, traggono tutte linfa dall'azione d'altre potenze che soffiano sul fuoco, di fatto combattendosi in una guerra per procura sul suolo siriano. 

 

Washington e Tel Aviv si stanno scontrando con Teheran, ciascuna avvalendosi di propri referenti preferenziali come i gruppi vicini alle forze americane Centcom, elementi del PKK e delle YPG ostili allo scioglimento e alla deposizione delle armi, ex militari del disciolto Esercito Arabo Siriano organizzatisi in nuovi gruppi combattenti sul territorio o ancora elementi interni ad alcune comunità come ad esempio i Drusi nel sud del paese. Anche la guerra mediatica, attivamente condotta soprattutto su numerosi canali e reti social con la diffusione di annunci sensazionalisti e video ed immagini risalenti a fasi passate del conflitto siriano, è immancabile parte di tutta questa strategia; e soprattutto nei giorni di maggior acme degli scontri sulla costa siriana la sua azione è risultata quantomai pervasiva sul web. Nel mentre, altri attori come Mosca ed Ankara, trincerate dentro i propri spazi di sicurezza interna, assistono alla grave ed imprevedibile fluidità siriana con estrema cautela e senza escludere alcuna possibilità dalle proprie agende. 

 

Le preoccupazioni soprattutto di Mosca, che nella base di Khmeimim ha dato rifugio a numerosi civili in fuga dagli scontri e dalla repressione delle forze di sicurezza siriane, si sono espresse anche in sede ONU, con pesanti accuse alle nuove autorità di Damasco durante una riunione a porte chiuse del Consiglio di Sicurezza: paragonando la loro azione a quella di pulizia etnica vista in Rwanda nel 1994, l'inviato speciale russo ha evocato il rischio che sempre più si palesi uno scenario come quello iracheno dopo l'invasione americana del 2003, quando lo scioglimento delle istituzioni governative e dell'esercito nazionale aprì le porte ad anni d'instabilità e a movimenti islamo-fondamentalisti come ISIS e al-Qaeda, oltre ad una forte presenza di foreign fighters nelle nuove strutture di governo. Anche i rappresentanti cinese, americano e francese a loro volta hanno espresso grande preoccupazione per la forte presenza di combattenti stranieri nelle nuove istituzioni siriane, mentre dal canto suo il Presidente siriano Ahmed al-Sharaa ha dichiarato alla Reuters la sua volontà di evitare una frattura diplomatica con la Russia, con cui preferirebbe che la Siria mantenesse le sue “profonde relazioni strategiche”. 

 

A chiosa di tutte queste varie considerazioni, non andrebbero infine neppure trascurate le nuove azioni militari israeliane nel paese, che dalla caduta di Bashar al-Assad ad oggi hanno conosciuto un'espansione incessante. Le forze dell'IDF hanno infatti inglobato nuove porzioni di territorio nel meridione siriano, con l'intenzione di crearvi autonomamente una zona di sicurezza che giunga sino alla capitale Damasco; il loro obiettivo è facilitato dal sostanziale lasciar fare da parte delle nuove autorità siriane, del resto prive di un'effettiva capacità di poterle in ogni caso contrastare. Proprio prendendo a pretesto l'incapacità di Damasco nel garantirle la smilitarizzazione dell'area, Tel Aviv intende procedere per proprio conto oltre a compiere nuove azioni aeree su altre aree della Siria, che potrebbero essere persino tra le più massicce dall'8 dicembre. Tel Aviv mira a stabilire un'ampia zona cuscinetto nell'area, di fatto soggetta al suo controllo militare e anche politico, che in futuro potrebbe esprimersi in una sorta di “tutela” esterna su un soggetto pseudostatale ad hoc sulla falsariga dello “Stato Libero del Libano” creato negli Anni ‘80 con l’Operazione “Pace in Galilea”. Il tentativo, non sempre coronato dal successo, di crearsi un certo consenso con la comunità drusa anche col rilascio di visti e permessi di libera circolazione a scopo lavorativo potrebbe dunque rientrare in tale progetto. 

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