
Il vertice di Londra di una settimana fa, seguito a quello di Parigi, ha confermato la centralità del conflitto in Ucraina e dei rapporti tra Europa e Stati Uniti; e del pari, nemmeno troppo implicitamente, dei rapporti tra Europa e Russia. Ma ha anche posto tutti questi nuovi e meno nuovi argomenti su un terreno insolito per le odierne leadership europee: un terreno pericolosamente inesplorato, sotto il quale s'annidano tuttavia i gravi insegnamenti più volti ricevuti dalla storia. Col piano ReArm Europe, presentato dalla presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen, il Vecchio Continente intende assumere una svolta bellicista e muscolare che tuttavia, agli occhi perlomeno dei più attenti osservatori, non sembra realmente nelle sue corde: l'impressione, casomai, è che si voglia celare dietro simili apparenze la solita immensa “mangiatoia” che trasferirà enormi capitali dai cittadini ai settori più apicali dell'economia europea, e soprattutto a quelli americani. Insomma, per usare un termine che già adottammo per l'AUKUS nel Pacifico, al cui confronto ReArm Europe oltretutto si prospetta come ancor più dispendioso e al contempo incerto, un elefantiaco “stipendificio” per alimentare un vasto mondo tra politici e gerarchie militari, imprese di settore, consiglieri strategici e think tank vari, giornalisti e burocrati, non ancora pronti a ritrovarsi anche soltanto in parte orfani del vecchio status quo “euro-americano” storicamente legato alla NATO e all'inderogabilità dei rapporti transatlantici.
Gli 800 miliardi di euro previsti per creare una grande forza militare europea serviranno soprattutto a questo, a sostituire le vecchie bolle speculative che in Europa non fruttavano più, come quella sviluppatasi intorno al green e alle rinnovabili, con un'altra di più storica conoscenza come quella del riarmo militare. Un riarmo che tuttavia non ci sarà, quantomeno non nei termini decantati dai tanti guru del mondo politico e dell'informazione: semmai, ciò che i cittadini europei vedranno sarà soprattutto un'immensa sottrazione di risorse dai ceti medi e popolari a vantaggio del solito vecchio e sempre più rifocillato “apparato militar-industriale” di eisenhoweriana memoria. Perché tra le tante cose, in virtù delle molte partnership tra industria militare europea ed americana, con la prima sempre più funzionale ed integrata alla seconda, quel grande travaso di fondi andrà soprattutto oltreoceano, fornendo agli Stati Uniti, dopo la sostituzione delle forniture di gas metano russo all'Europa con altro di scisto americano, un'ulteriore ghiotta occasione per la “vampirizzazione” dell'economia europea. E' anche così che Washington punta a rimediare il suo disavanzo commerciale con Bruxelles, oltre che coi dazi tipico pallino della nuova Amministrazione; e non ci sono dubbi che il prezzo da pagare sarà molto caro. Se qualcuno se ne ricorderà, ne parlammo un po' anche in un articolo apparso proprio al principio dell'anno. La nuova Amministrazione Trump non sovverte dunque l'agenda ereditata da Biden, la guerra economica all'Europa dietro le sembianze di quella alla Russia, né tanto meno la revoca; ma semplicemente l'aggiorna alle nuove bisogna.
Nel frattempo ognuno punta a portare a casa un risultato per sé: ad esempio l'Eliseo, offrendo agli altri partner europei la copertura del suo nucleare, mira soprattutto a scaricare su costoro i costi della sua politica militare. Sebbene la Francia sia oggi in netto ripiegamento dai teatri in cui fu solita recitare un ruolo di rilievo, a cominciare dall'ormai ex Françafrique, in futuro nei suoi programmi vi è un ritorno alla carica, quantomeno laddove possibile e con una politica di partnership bilaterali e regionali che possano ricollocarla ad un ruolo di prima tra le pari, anche rispetto agli altri grandi paesi emergenti nel frattempo affacciatisi nelle sue antiche colonie. Per farlo, però, avrà bisogno di disporre dietro di sé delle masse critiche garantitele da un'Unione europea che le deleghi praticamente la politica estera e strategica in tutti quei contesti internazionali, dall'Africa all'Oceania senza trascurare alcune propaggini tra Caucaso, Antille e Medio Oriente. Finora era stata Berlino il suo grande motore economico, ma da tempo la locomotiva tedesca s'è ingolfata; in attesa che tutta l'Europa s'assiepi alla sua corte, a Parigi intanto si mettono in piedi i non tanto facili e sicuri progetti di domani. Anche questo è ReArm Europe: tanta fantasia per un grande “stipendificio” nelle cui vene scorreranno comunque fiumi e fiumi di denaro. Ce ne sarà abbastanza anche per l'industria militare francese, e per tutto l'apparato politico-militar-industriale dell'Armée che, in attesa di una forza militare europea su cui comunque Parigi vorrà avere una “quota azionaria” di rilievo, non pare oggi proprio nelle sue condizioni migliori.