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Ad un mese dal suo insediamento, l'Amministrazione Trump sembra aver capovolto molti dei fondamentali della politica estera americana degli ultimi trent'anni, curiosamente quelli inauguratisi all'indomani della caduta dell'URSS e della divisione del mondo in due blocchi, allorché Washington si ritrovò ad essere unica superpotenza de facto e come tale avviata ad un lungo periodo di predominio all'interno di un nuovo ordine internazionale unipolare. Il maggior sconcerto regna tra gli europei, evidentemente non ancora pronti ad un simile novità, quando invece alla caduta del Muro di Berlino e alla fine del bipolarismo USA-URSS avevano testimoniato tutt'altro spirito d'iniziativa. Ne è prova il modo con cui hanno reagito alle parole del vicepresidente James D. Vance è intervenuto neanche dieci giorni fa alla Conferenza di Monaco, indubbiamente parole distruttive per chi in Europa è solito “oziare” da decenni sugli allori di certe nient'affatto scontate od eterne certezze, come il ruolo centrale del Vecchio Continente nel mondo e nella visione strategica americana, ed ancor più l'ombrello “protettivo” di Washington a beneficio della sua sicurezza. Il giovane vicepresidente americano ha demolito queste certezze, ribadendo oltretutto l'intenzione americana, peraltro già precedentemente dichiarata, d'avviare un dialogo diretto con Mosca che proprio in virtù della venuta meno centralità europea non avrebbe visto i partner dell'UE e della NATO poter vantare una qualche posizione al tavolo della trattativa.
Viene in mente un paragone storico, neanche troppo lontano. Nel 1985 l'arrivo di Michail Gorbaciov alla Segreteria del PCUS destò interessate aspettative ad Occidente e preoccupate reazioni nell'allora Campo Socialista, tra i paesi dell'Est Europa alleati dell'URSS. Tanto le leadership di USA ed Europa Occidentale quanto quelle dell'Europa Orientale e le più conservatrici interne all'URSS, ognuna per proprio conto e secondo i propri interessi, capirono quali effetti potenzialmente distruttivi potessero esserci dietro le volontà riformatrici del giovane segretario sovietico. Per lo stesso principio, le prime lo blandirono ed assecondarono, mentre le seconde invece finché poterono lo demonizzarono ed osteggiarono. Quanto vediamo in questi giorni, col nuovo arrivo di Donald Trump e le varie uscite dei suoi, sembra un po' riecheggiare certe atmosfere di quei tempi, ma in un contesto rovesciato e con qualche parziale differenza: interessate aspettative tra molti rivali strategici degli USA e preoccupate reazioni tra i suoi satelliti, in particolare nell'UE. Anche in questo caso gli uni come gli altri, pur continuando soprattutto i primi a restar in guardia come a suo tempo avevano pur sempre fatto anche gli occidentali fino almeno alla completa estinzione dell'URSS, hanno capito perfettamente quanto potenzialmente distruttivi possano essere gli intenti politici della nuova Amministrazione americana su tutto il sistema politico-economico-militare dell'Occidente unipolare guidato da Washington. I primi sanno che ne potranno trarre grossi vantaggi, i secondi dei pericolosi rovesci; ma d'altronde, proprio come fu nel caso dell'URSS e dei suoi satelliti, anche in questo caso si tratterebbe soltanto dell'accelerazione di un'implosione di per sé comunque destinata ad avvenire.
Inevitabile, dunque, che dopo il trauma della Conferenza di Parigi gli europei reagissero incontrandosi a Parigi in un vertice cupo, dove serpeggiava una sorta di disperazione, quella di chi senza riuscire a darsi spiegazioni si sente improvvisamente abbandonato e tradito. Nel frattempo a Riyad ci si preparava al primo incontro tra rappresentanti russi ed americani, certamente con una maggiore e più favorevole attenzione del mondo. Mentre a Parigi i “sedotti ed abbandonati” della NATO hanno stabilito di proseguire ad oltranza il conflitto in Ucraina, svolgendo un ruolo surrettizio a beneficio di Kiev, a Riyad russi ed americani hanno avviato un tutt'altro che scontato disgelo dopo tre anni di rapporti pressoché ai minimi termini, e pur senza profondersi in immediati slanci hanno comunque gettato le basi per la fine del conflitto e i nuovi equilibri che ne seguiranno. E' possibile che in una fase più avanzata dei colloqui russo-americani anche gli europei e gli ucraini vengano integrati, ma intuibilmente non per vantarvi una presenza di piano: il fatto stesso che vi saranno ammessi proprio quando la trattativa tra Mosca e Washington sarà giunta a chiari punti fermi lascia indicare non suona loro di buon auspicio. Del resto, ed è qualcosa che avevamo detto seguendo in questi tre anni l'andamento del conflitto, il loro ruolo negoziale non esiste più da molto tempo e anzi, dati i loro già storici e congeniti deficit di sovranità, non l'hanno realmente mai avuto. Bruxelles e Kiev sono dei “fantasmi diplomatici”, e ora che ci s'appresta a decidere un nuovo assetto politico per l'Occidente ne pagano le conseguenze. Chi non siede al tavolo, è parte del menù.
D'altronde, che la guerra in Ucraina dovesse concludersi presumibilmente entro primavera 2025 era già stato detto oltre un anno fa, da vari analisti, e non sorprende che adesso si giunga appunto alle sue fasi finali. Non significa ovviamente che fosse tutto già preventivato, ma era in ogni caso già ampiamente previsto. La stessa elezione di Trump da tempo risultava a sua volta facilmente prevedibile, per così dire non più scongiurabile, visto che il ricorso all'arma giudiziaria per i Democratici sarebbe stato a quel punto inattuabile, se non precipitando nel caos il paese per venirne a loro volta risucchiati; e che l'arrivo, ovvero il ritorno di Trump portasse a tutta una serie di novità, sul fronte ucraino, su quello mediorientale, nei rapporti con l'Europa, o ancora con la Russia o con la Cina, parimenti non sorprende nessuno. C'è però una continuità nelle politiche di Washington, che è una superpotenza con un'agenda strategica da portare avanti per poter continuare a garantirsi un futuro come tale: le aggiustature che di volta in volta vi applica, per meglio adeguarla alle sopraggiunte novità negli equilibri internazionali, non dovrebbero mai essere confuse per drastici cambi di rotta, ovvero sovvertimenti o cassature di quella stessa agenda. La nuova Amministrazione Trump eredita dalle precedenti una serie d'epocali rovesci geopolitici, dall'Europa al Medio Oriente, e deve coprire alcuni alleati per tirarli fuori dai guai insieme agli stessi interessi americani di cui sono tutori nell'area; scaricarne altri ormai al momento non più funzionali; riavvicinarsi ad altri ancora che erano stati perduti ma coi quali un rapporto resta essenziale; stabilire tregue tattiche con certi grandi rivali strategici per meglio concentrarsi su altri. Insomma: deve giocare un po' con le sue tessere per cercare di tirarne fuori il migliore dei mosaici possibili, che certo non sarà l'optimum ma se non altro quanto di verosimilmente più ottenibile a garantire a Washington una sopravvivenza come superpotenza e "sistema-mondo".
Di certo quel che ha prodotto l'incontro di Riyad, a cui sta per seguire il secondo round, è un primo inizio, dopo che per tre anni i rapporti tra Russia e USA s'erano congelati o quasi; ma i frutti che produrrà sono già ora importanti, a prescindere dagli esiti che magari i più sono portati ad attendersi. Uno di questi frutti, già accertato, sta nel pensionamento di certi sodalizi militari e politici, come la NATO e l'UE che ne è risultata negli anni l'espressione politica-economica, e del rapporto "transatlantico" tra Washington e Bruxelles che ne scaturiva. La NATO ha calcato la scena dal Secondo Dopoguerra ad oggi, coprendo tanto l'era del mondo diviso in due blocchi, propria della Guerra Fredda, quanto quella successiva, sorta con la caduta del Muro e la Guerra del Golfo del '90, dell'unipolarismo a guida americana. L'UE, non a caso sorta nel '92 sulle ceneri della vecchia Comunità Europea con l'obiettivo d'allargarsi ad Est, dove le nazioni post-comuniste del disciolto Comecon ambivano ad un avvicinamento all'Ovest in cerca di capitali ed integrazione politica, le preparava il terreno favorendone l'inevitabile approdo. Era, per così dire, lo strumento politico, economico e mercantile dell'allargamento della NATO ad Est. Non diciamo affatto nulla di nuovo quando parliamo dell'UE come di un polmone economico della NATO nel Vecchio Continente, foriero della sua espansione ad Est, nelle terre del fu Patto di Varsavia.
Quindi, di là da come andranno nell'immediato le prime intese tra Russia e USA scaturite dal dialogo di Riyad, certo è che questi due grandi attori della scena europea, NATO e UE, si ritroveranno sensibilmente tagliati fuori da quei giochi di cui finora erano stati parte attiva. Si può dire (salvo stravolgimenti dell'ultimo minuto che a guardar bene potranno ormai provenire solo dalla stessa Ucraina, e solo perché Mosca e Washington avranno intanto staccato la spina a Zelensky) che soprattutto l'UE legherà il suo destino a quello di Kiev, con lei cadendo, travolta dal suo abbraccio in una trincea dove per molti versi "non mancò la fortuna, ma l'onore". I margini di una possibile, insperata salvezza, per l'UE potrebbero stabilirsi nei tempi più o meno lunghi della trattativa tra Mosca e Washington: la prima ha tutto l'interesse ad andar per le lunghe, perché nel frattempo la sua azione militare può proseguire mettendo ancor più in sicurezza i risultati ottenuti oltre a guadagnarne altri ancora; mentre la seconda per opposte ragioni mira a finirla il prima possibile. L'UE, o almeno certi suoi membri più lungimiranti, avrebbero potuto in questi tre anni trarne profitto, magari tentando un primo e timido cambio di rotta: le occasioni, peraltro, non erano certo mancate. Ma a veder dal vertice di Parigi, pare che questa palla non sia stata ancora colta al balzo.
L'incontro di Riyad ha dunque visto la messa in soffitta di due grandi entità che finora hanno pesato in Europa e negli equilibri internazionali come la NATO e l'UE. Di fatto non sbaglia chi parla di una "nuova Yalta", perché viene a delinearsi un nuovo status quo. La NATO è stata funzionale agli USA sia durante la Guerra Fredda, ovvero nella divisione del mondo in due blocchi, che in seguito, nell'epoca dell'unipolarismo a loro guida, quando l'URSS era ormai venuto meno e Washington rappresentava, come già raccontavamo, l'unica grande superpotenza rimasta. L'UE sorse proprio quando finì la divisione in due blocchi, sulle ceneri della vecchia CEE, per accompagnare l'espansione della NATO e degli USA nell'Est Europa ormai evacuata dal venuto meno potere sovietico, segnando inoltre il passaggio da un'economia keynesiana ad una neoliberale. Ora però si passa ad una fase nuova, che è in buona parte ancora tutta da vedere. L'Europa, nel nuovo mondo globalizzato e multipolare, risulta indebolita e privata della sua precedente e storica centralità. Tutto va ormai visto in un quadro ben più ampio, globale. Sembra un po' quel che successe al Sacro Romano Impero dopo la Guerra dei Trent'Anni del 1618-1648: sconfitti gli Asburgo, la Spagna e i cattolici, l'antico e grande impero perse unità entrando in un profondo ed irreversibile declino. Nel momento in cui altri sono i grandi poli politici ed economici, l'Europa diventa così oggi una delle nuove periferie del mondo.