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USAID in soffitta, un'opportunità per l'emancipazione del Sud del Mondo?

2025-02-12 15:00

Filippo Bovo

USAID in soffitta, un'opportunità per l'emancipazione del Sud del Mondo?

Si fa risalire ad una vecchia dichiarazione di Franklin Delano Roosevelt l'usanza, non soltanto americana, di giudicare una nuova Amministrazione dai

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Si fa risalire ad una vecchia dichiarazione di Franklin Delano Roosevelt l'usanza, non soltanto americana, di giudicare una nuova Amministrazione dai suoi primi cento giorni alla Casa Bianca. Nel tempo, però, la tentazione di darne un giudizio più immediato, a distanza di poche settimane o addirittura giorni, è tornata a prevalere; non meraviglia, pertanto, che già ora fiocchino abbondanti i bilanci sulla nuova Amministrazione americana, a cui va comunque dato atto d'esser riuscita, appena insediatasi, a rivoluzionare pressoché in toto la condotta ereditata da quella precedente. Colpisce ad esempio la sospensione per tre mesi dell'USAID, l'agenzia federale sorta nel Dopoguerra ufficialmente con lo scopo d'aiutare i paesi in via di sviluppo con varie forme d'aiuto, dai sussidi economici alle forniture alimentari e mediche. Dietro l'inganno di sembianze tanto nobili, questa istituzione è stato utilizzato da Washington soprattutto per ingerire nella politica interna di quei paesi e per condizionarla, ad esempio comprandosi il favore di quote dell'opinione pubblica, sostenendo gruppi umanitari e religiosi dediti ad attività politiche funzionali agli interessi americani, ed inibendo l'economia locale con una concorrenza sleale data proprio dall'apparente gratuità di quegli aiuti. 

 

Inizialmente la dichiarazione, senza tirare espressamente in ballo l'USAID, era parsa piuttosto generica: il governo americano avrebbe sospeso gli aiuti economici, umanitari e militari americani ai paesi partner e/o in via di sviluppo per un periodo d'almeno tre mesi, eventualmente rinnovabili caso per caso, con la sola eccezione di Israele ed Egitto. La prima e maggiore beneficiaria in questi ultimi anni, l'Ucraina, dovrà confidare in un analogo ruolo compensativo europeo, che tuttavia per parola dello stesso Zelensky non sarà mai adeguato; ma in fondo la fine del conflitto con la Russia è alle porte, e i segnali che provengono tanto da Washington quanto da Mosca, a tacer della situazione sul campo in Ucraina, lasciano pochi dubbi in merito. Anche altri paesi che risultano tradizionalmente tra i principali dipendenti di tali sussidi, come la Giordania e l'Etiopia, dovranno stringere la cinghia: privati dell'aiuto americano, temporaneo o definitivo che sia, saranno più esposti alle loro turbolenze esterne e dovranno confidare nel buon cuore d'altri loro alleati, che certo almeno in qualche misura non mancherà. In tal senso la mutata realtà potrebbe costituire un'occasione, per molti paesi, per rivedere certe loro condotte in politica interna ed estera, soprattutto a livello regionale, o quantomeno per iniziare a farlo. La Giordania, trovandosi a dipendere maggiormente dalle monarchie del Consiglio di Cooperazione del Golfo per effetto dell'allontanamento americano, potrebbe rivedere parte della sua linea verso la questione israelo-palestinese e i rapporti con Israele, o quantomeno avere mani più libere nel tenervi testa; e l'Etiopia, dipendendo meno da Washington, parimenti potrebbe confidare di più sul rapporto con gli altri partner BRICS, abbandonando così più facilmente certe politiche poco costruttive nella regione, scarsamente nel suo interesse ma molto in quello americano, come il sostegno alla destabilizzazione in Somalia e in Sudan. Nell'insieme, la lista dei paesi che traggono beneficio dai sussidi americani è alquanto lunga e, nel “Sud del Mondo” e tra i Non Allineati, trova numerosi “insospettabili”.
  

La sospensione delle politiche americane d'aiuto ai paesi in via di sviluppo, sebbene inizialmente accolta con sfavore da molti, nel lungo periodo potrebbe quindi rivelarsi un fattore tutt'altro che negativo ai fini di una loro maggior emancipazione internazionale. Dopotutto ci sono paesi che intascano questi aiuti da decenni, in quote spesso crescenti, ma ciò non ha mai davvero giovato alla loro economia interna, oltretutto traducendosi pure in una grossa limitazione della loro sovranità. Questi aiuti servono a tenere i paesi destinatari perennemente soggiogati, giacché per riceverli i loro governi devono portar avanti politiche lesive e/o elusive della loro sovranità politica ed economica, e a creare o mantenere al loro interno vere e proprie “quinte colonne” che finiscono per presentarsi come tante forme di “Stato nello Stato”. Sviluppando una vera e propria “dipendenza cronica” dagli aiuti, le loro economie non possono mai svilupparsi pienamente, stante la presenza sul mercato interno di sussidi forniti secondo logiche di corruzione e clientela politica che inibiscono la concorrenza interna ed impediscono il raggiungimento di un'autosufficienza che invece, nel cosiddetto “Terzo Mondo”, sarebbe un traguardo vitale. Nonostante il comprensibile sfavore con cui molti paesi del “Sud del Mondo” (tra cui, come dicevamo, anche molti Non Allineati, candidati e partner BRICS, ecc) hanno accolto il pensionamento dell'USAID, è in ogni caso piuttosto difficile pensar di  poter "costruire un nuovo mondo multipolare" senza riuscire a far a meno dei suoi sussidi, oltre a quelli erogati dall'UE o da una vasta pletora di ONG ed istituti occidentali. Dipendere dagli aiuti esteri, economici, umanitari, alimentari, ecc, è un po' come dipendere dalla droga: impedisce lo sviluppo di un'economia interna, che non troverà mai spazi sufficienti per poter decollare a causa della loro "concorrenza sleale". Inoltre favoriscono corruzione e clientelismo, e basterebbe già soltanto vedere con quali criteri vengano erogati per capire quanto siano funzionali a "ritoccare" gli equilibri di potere e i rapporti di forza politici e sociali nei paesi che vi dipendono. 

 

Inoltre tutti questi aiuti costituiscono solo una men che irrisoria percentuale di tutta la ricchezza che, attraverso banche e corporazioni varie, sempre a quei paesi precedentemente gli USA e i suoi partner occidentali hanno sottratto, ad esempio con lo sfruttamento in chiave neocoloniale delle loro risorse o con l'arma del debito. Gran parte di quella stessa meno che irrisoria percentuale, per giunta, resta trattenuta alla fonte, non arrivando mai nelle mani dei precedentemente derubati, a cominciare dai loro popoli. Gli USA si sono finora serviti dell'USAID perché così gli conveniva, visto che non ci rimettevano nulla ma ci guadagnavano soltanto e che quel meccanismo era idoneo alla loro architettura d'egemonia internazionale sviluppata nella Seconda Guerra Fredda ed ancor più ampliata nella successiva era dell'unipolarismo a guida americana; e se ne sbarazzano adesso, perché ugualmente così gli conviene, dovendo giocoforza ristrutturare quell'architettura ormai non più sostenibile e competitiva nei confronti dei nuovi attori globali sempre più emergenti. Quello di Trump e della sua squadra di giovani “spalle dal volto di bambino” come Musk, Vance o Rubio va dunque letto come una riformulazione delle politiche funzionali a sostenere l'agenda americana e la sua lotta per mantenere un predominio internazionale, e non certo come un atto di bontà verso i propri elettori o il resto del Pianeta.
 

La convinzione americana che con questa sospensione alcuni paesi rientrino maggiormente nella orbita, essendosi in precedenza un po' troppo distanziati dal "Washington consensus" con certe loro frequentazioni un po' troppo "alternative", si rivelerà in taluni casi corretta; in altri invece potranno essere proprio quelle già menzionate "frequentazioni" a far la differenza, approfittando dell'occasione per operare un discreto subentro alla precedente ma pur sempre declinante influenza americana ed irrobustire delle cooperazioni a quel punto destinate ad essere sempre più forti: il riferimento ai grandi protagonisti del nuovo ordine internazionale multipolare, come la Cina e la Russia, è in tal senso più che chiaro. In altri casi ancora, infine, non mancheranno invece altri alleati di Washington, con cui alcuni di quei paesi finora dipendenti dai suoi aiuti ugualmente intrattengono "frequentazioni", a cogliere la palla al balzo per subentrarvi a loro volta, aumentando così la loro già cospicua presenza nelle economie interne, senza che ciò crei immediate fratture col loro grande alleato americano: è il caso per esempio di certe potenze emergenti del Medio Oriente, in particolare le più piccole e dinamiche monarchie del Consiglio di Cooperazione del Golfo, che mirano a mettersi sempre più in luce rispetto agli altri colossi-competitori regionali con proprie agende internazionali. Nel contesto di grande mobilità internazionale, che vede pur sempre l'Occidente a guida americana in progressivo declino e le altre grandi e medie potenze sempre più emergenti, e quindi di costante affermazione del multipolarismo, il ruolo di questi outsider è ad ogni modo destinato a risultare nel tempo sempre più organico ai paesi emergenti, con cui già hanno in essere forti relazioni, che “succedaneo” del vecchio status quo a garanzia americana. 

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