
Nel giro di pochissimi giorni hanno destato un'enorme curiosità due nuove IA cinesi, DeepSeek e Qwen 2.5 Max. Il loro susseguirsi in tempi tanto rapidi, denotando un livello d'efficienza mai riscontrata nelle altre IA già affermate sia per costi di sviluppo che per requisiti di sistema, ha fatto sì che le concorrenti soprattutto americane, espressione della Silicon Valley di reaganiana memoria rinverditasi negli ultimi anni coi boom di Apple e di altre Big Tech, oltre al nuovo fenomeno a stelle e strisce impersonato da Elon Musk, subissero una dura battuta d'arresto. Entrambe si basano sulla formula dell'open source, la seconda grande rivoluzione nella già di per sé globale rivoluzione dell'IA. Con un simile modello di sviluppo i sorgenti sono pubblicamente accessibili ad ogni potenziale sviluppatore, con riduzione dei costi ed incremento della comunità dei programmatori e degli operatori nell'IA. Si tratta di un processo indubbiamente più “democratico” rispetto ai software chiusi, di tipo strettamente proprietario e non accessibili alla comunità degli sviluppatori. Nel caso di DeepSeek, ancor più di Qwen 2.5 Max creato da Alibaba, ciò si traduce in un'estrema convenienza economica: la sua genesi complessiva, a quanto pare, ha avuto costi contenuti in 5.6 milioni di dollari, un investimento invero molto modesto. Anche per questa ragione, dato il mostruoso divario nei costi resisi necessari allo sviluppo delle IA occidentali, da OpenAi a ChatGPT, fino alle varie proposte di Google o Microsoft, il mondo azionario oltre a quello scientifico ha dato dei pronti segnali: immediatamente il valore in borsa di grandi gruppi e società come Nvidia è crollato in modo fragoroso, bruciando miliardi di capitalizzazione.
Anche Qwen 2.5 Max, pur risultando più costosa ma al contempo anche più efficace di DeepSeek, tanto da superarla in diversi benchmark dove l'altra aveva comunque brillato, ha a sua volta contributo a quello shock psicologico che ha scombussolato i valori azionari delle Big Tech americane. Progettata per un'ampia gamma d'applicazioni, dalla generazione di testo alla traduzione linguistica, fino alla comprensione del linguaggio naturale, può infatti vantare dalla propria parte un campo operativo assai più vasto delle concorrenti, e con costi pur sempre concorrenziali. In generale, DeepSeek appare come uno strumento dall'enorme potenziale e dal quale, magari con appositi fork, altri potranno in futuro ottenere forme di IA ancor più potenti e versatili, mantenendosi comunque su investimenti sempre piuttosto contenuti; mentre Qwen 2.5 Max appare già oggi ad uno stadio più avanzato, frutto chiaramente della maggior potenza di fuoco che ne ha permesso lo sviluppo, ma in ogni caso sempre lungi dal potersi definire concluso. Già oggi la loro capacità di competere con modelli affermati come Llama-3 e GPT-4 ne prova la temibile competitività agli occhi dei colossi informatici occidentali.
La competizione tra Cina e USA nel campo dell'IA va ad inserirsi su un confronto ben più ampio, di natura geopolitica e geoeconomica. Dietro ai grandi successi in campi come l'informatica, la robotica, la domotica, le telecomunicazioni, la corsa allo spazio, ecc, che i due colossi giorno per giorno maturano sbalordendo molti esperti al mondo, si nasconde una sfida nell'accesso a nuovi mercati e nuovi “spazi vitali”, da quello del mondo virtuale a quello dell'universo, entrambi letteralmente esplorabili all'infinito. Altresì, si nasconde al tempo stesso pure una corsa alle risorse, che i due colossi conducono in modi profondamente diversi: con l'appropriazione secondo modalità alquanto “imperiali” nel caso degli USA, ben espresso dai diktat rivolti dalla nuova Amministrazione su Canada, Groenlandia e Canale di Panama, o dall'appoggio dato a “rivoluzioni colorate” e tentativi di destabilizzazione di paesi politicamente non allineati a Washington come Venezuela o Serbia, o ancora a movimenti paramilitari come l'ARC/M23 nella RD Congo tramite partner locali come il Rwanda; con politiche di mutuo rispetto e vantaggio coi propri vari partner internazionali nel caso della Cina, come testimoniato dai programmi d'investimento nelle loro economie, nel sostegno alla creazione di nuove infrastrutture, nel trasferimento o nella creazione di nuovi siti produttivi locali, sia all'interno che all'esterno di “piani globali” come ad esempio la Belt and Road Initiative. Sono dunque due modalità d'approccio completamente diverse, persino opposte, la prima più votata al risultato più immediato, di breve periodo, e al foraggiamento della “strategia del caos”; la seconda a risultati più lontani, di lungo periodo e al ristabilimento di una maggior armonia internazionale secondo il principio di una “comunità globale dal comune destino”.
Tale diversità spiega tuttavia l'ostilità degli USA verso la condotta cinese, di cui intuiscono la “pericolosità” verso la propria: la vedono come una concorrente ben più preferibile per i paesi terzi, che dinanzi alla possibilità di nuove alternative ormai sempre più malvolentieri tollerano l'invadenza e la prevaricazione insite nell'approccio americano. Così Washington blocca sempre nuove collaborazioni internazionali dietro la motivazione della “sicurezza nazionale”, di conseguenza precludendo a sé e ai propri alleati nuove ed importanti possibilità; oppure tramite i suoi apparati politici e mediatici denigra lo sviluppo cinese e il suo modello, descrivendolo come una “minaccia” per gli altri paesi. Ora, tra le ultime novità, s'aggiunge la guerra nella catena d'approvigionamento, quella supply chain che vede un crescente ruolo di Pechino come stimolatrice di nuovi progetti volti a mobilitarvi maggiormente la partecipazione internazionali, riducendo tempi e costi di trasporto ed aumentando il reddito procapite globale. Gli esempi spaziano dal boicottaggio della partecipazione cinese nel Canale di Panama alle critiche su nuove opere come il porto di Chancay in Perù, inaugurato in occasione del recente vertice APEC e visto da molti ambienti americani come un nuovo tassello del ruolo cinese in quell'America Latina, secondo la Dottrina Monroe, era il “cortile di casa” di Washington.
Un nuovo giro di vite, ancora, è rappresentato dai dazi appena varati dall'Amministrazione Trump, che si vanno ad aggiungere a quelli varati in precedenza, sia sotto il primo Trump che sotto Biden. Si ricorderà come, ai tempi dell'Amministrazione Biden, una delle giustificazioni con cui Washington aveva attuato determinate sanzioni risiedesse nella “sovraccapacità produttiva”, altro argomento che andò ad aggiungersi a quelli che già la ponevano in contrasto con Pechino in ambito WTO. In questo caso i provvedimenti adottati dalla nuova Amministrazione appaiono però ancora più duri perché, oltre a colpire direttamente Pechino con l'obiettivo di riequilibrare la bilancia commerciale, prendono di mira pure due partner storicamente più vicini a Washington come Canada e Messico, coi quali era nell'accordo di libero scambio NAFTA. A seguito delle vecchie dispute tra Washington e i suoi due vicini, il NAFTA nel 2020 è stato sostituito da un nuovo strumento come l'USMCA, un accordo trilaterale che nell'insieme non ha comportato comunque cambiamenti tali da appagare il nuovo governo americano. Colpendo due economie pur sempre più piccole, e pertanto anche più fragili e ricattabili, come quella canadese e messicana, gli USA mirano oggi a ristabilirvi in modo assertivo la loro predominanza: in tal modo possono così ricondurle a mercati immediati per le loro produzioni e a riserve di risorse, energia e manodopera con cui alimentarle. Anche ciò è parte della strategia di competizione con la Cina: precludendole od ostacolandole la presenza in mercati che considerano “vitali”, così da potervi detenere un ruolo maggioritario, gli USA possono così reggere la propria "reindustrializzazione accelerata", pagata proprio col protezionismo che vi andranno ad esercitare. Quella “reindustrializzazione accelerata” è, agli occhi di Washington, una conditio sine qua non proprio per poter intraprendere nei prossimi anni un sempre più acceso confronto con Pechino, in particolar modo sul versante del Pacifico.