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Il conflitto nel Nord Kivu, un'immensa partita geopolitica nel cuore del Continente Africano

2025-01-29 18:00

Filippo Bovo

Il conflitto nel Nord Kivu, un'immensa partita geopolitica nel cuore del Continente Africano

Da poco più di una settimana la Repubblica Democratica del Congo, il più esteso e tra i più popolosi degli Stati africani, è tornata alla ribalta dei

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Da oltre una settimana la Repubblica Democratica del Congo si trova al centro di una grave crisi politica e militare, prossima a condurla all'ennesima guerra di portata continentale. Già gli Anni Novanta e Duemila hanno visto l'Africa Centrale dilaniata dal Primo e dal Secondo Conflitto Mondiale Africano, e in entrambe le occasioni la RD Congo ne è stata il teatro principale. Lo scorso 21 gennaio i ribelli del gruppo M23, formato in prevalenza da Tutsi ma con una partecipazione minoritaria anche di altre etnie come gli Hutu, e sostenuto in particolare dal Rwanda e in seconda battuta dall'Uganda, ha iniziato un'avanzata apparsa subito travolgente agli occhi dei vari testimoni. Quel giorno il gruppo ha iniziato ad intensificare sensibilmente i propri combattimenti con le FFAA congolesi (FARDC) e coi militari della missione ONU MONUC/MONUSCO nel Nord Kivu, intorno alla città di Sake, a poco più di venti chilometri dal capoluogo Goma, oltre ad avvicinarsi a Minowa, altro centro di netta rilevanza che apre all'ingresso nel Sud Kivu. Entrati a Minowa senza particolari difficoltà, gli M23 hanno così potuto meglio concentrarsi su Sake, conquistandola meno di 48 ore dopo, il 23 gennaio. Infine poco più di tre giorni dopo, il 27 gennaio, venuti meno gli ultimi presidi delle FFAA congolesi a sbarrarne l'ingresso da Sake, anche Goma è caduta nelle loro mani. 

 

Per il governo di Kinshasa il colpo è stato durissimo, anche perché alle FFAA era stato intimato di difendere Goma “fino alla morte”; così pure per i suoi partner, a cominciare dal Sudafrica che assiste la RD Congo nel quadro sia delle missioni MONUSCO che SADC (Comunità di Sviluppo dell'Africa Meridionale) e che negli scontri coi miliziani M23 ha perso 13 suoi uomini. Grosse sono state le contestazioni tanto a Kinshasha quanto a Johannesburg per l'impreparazione denotata dai militari e dal loro minor equipaggiamento rispetto a quello vantato dagli M23, a supporto dei quali sono dispiegati nel Nord Kivu anche quattromila uomini delle Forze Speciali delle FFAA ruandesi (RDF). In effetti il notevole lucro ottenuto dal traffico di minerali estratti nella regione come coltan, litio, niobio, oro, oltre a tungsteno, tallio e stagno (definiti nella terminologia anglosassone come i “3T”) consente agli M23 di percepire almeno 300 milioni di dollari l'anno, a cui s'aggiunge una tassazione imposta sui prelievi dalle miniere e sui trasporti locali che si quantifica in 800mila dollari al mese, pari a circa 9,6 milioni di dollari all'anno. 

 

Con tali risorse, non è difficile per il gruppo dotarsi del miglior armamento occidentale disponibile, direttamente dai depositi degli eserciti ruandese ed ugandese; i quali a loro volta ben volentieri lo supportano, anche con propri effettivi, assistendo il trasferimento delle risorse prelevate dal Nord Kivu oltreconfine. Una volta varcato il confine congolese, i vari minerali in base alla loro tipologia vengono veicolati in Israele oppure in Europa, in questo caso trovando tra i suoi massimi compratori una società francese domiciliata in Olanda. La filiera, molto articolata, vede infine tra i principali acquirenti finali aziende come le Big Tech, in particolar modo Apple, verso cui soprattutto di recente sono sorte varie campagne di sensibilizzazione che ne contestano il disinvolto appoggio ad un giro di siffatta specie. Anche per questo insieme di motivi si può comprendere il comportamento di USA, Francia e Gran Bretagna al Consiglio di Sicurezza ONU, riunito per la crisi del Nord Kivu proprio mentre Goma stava per cadere: condanne verbali, anche accese, verso gli M23, ma nessun provvedimento concreto, mentre i rappresentanti della RD Congo e del Rwanda si rinfacciavano tra loro la responsabilità per il caos nella regione.

 

Il giorno dopo la perdita di Goma, Kinshasa è stato teatro di violente dimostrazioni popolari che hanno visto prendere di mira soprattutto le Ambasciate di Stati Uniti, Francia, Belgio, Uganda e Rwanda. Con quest'ultima la RD Congo ha chiuso i propri rapporti diplomatici, mentre il Sudafrica è giunto a relazioni quantomai tese: Johannesburg ha intimato a Kigali di non scontrarsi più coi suoi uomini, trovando dall'altra parte dinieghi circa propri coinvolgimenti nella crisi del Nord Kivu. Nel frattempo per le FFAA sudafricane (SANDF) in Congo è iniziato l'invio di massicci rinforzi aerei, tesi a placare le polemiche interne e a dare un forte segnale a Kigali, oltre a rassicurare Kinshasa che sempre più pare proiettarsi verso una crisi istituzionale. La notizia che gli M23 non intendano fermarsi alla sola Goma, puntando ad avanzare anche nel Sud Kivu lungo tutto il Lago omonimo, ha trasmesso in molti osservatori locali la convinzione che per loro tramite il Rwanda miri ad annettere di fatto l'intero territorio. 

 

Il solo Nord Kivu è un'area popolata da otto milioni di persone, dove in oltre trent'anni di guerra civile altri sei milioni di persone sono morte mentre 400mila sono sfollate soltanto con gli scontri degli ultimi giorni: una terra martoriata, dove nuove azioni militari non possono che inasprire una ferita già fin troppo grondante di sangue. Ma, soprattutto, è un'area valutata per le sue risorse in oltre 24 trilioni di dollari, quanto basta a spiegare la corsa che vari attori vi fanno, quando direttamente attraverso le loro FFAA, quando invece attraverso gruppi paramilitari dei più vari. Sebbene il M23, nato ufficialmente come protesta agli accordi del 23 marzo 2009 che videro il loro gruppo predecessore CNDP (Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo) integrato nelle FARDC, visto come un tradimento dalla minoranza Tutsi della regione, sia in questo momento il più importante ed attivo, non va infatti dimenticato che in tutto il Nord Kivu di gruppi paramilitari ve ne siano al momento attuale più di 120. Molto profonda risulta quindi la fragilità etno-politica di tutta l'area.

 

Non è passato inosservato neppure il forte ricorso al mercenariato, in primo luogo da parte delle FARDC, che vedono nel ricorso ad aziende private del settore un rimedio immediato alle loro tante lacune. Quando a Goma sono entrati gli M23, vi erano 400 romeni in forze presso la società francese Raft, vicina alla NATO, che si sono rifugiati nella locale base MONUSCO per poi venir rilasciati, dopo trattative col governo di Bucarest, e trasportati oltreconfine, a Kigali. Come poi è emerso, venivano retribuiti da Kinshasa con stipendi dagli 8mila ai 10mila dollari al mese, pari a 80 dollari per ogni effettiva ora di servizio; altri, anche della stessa società, risultano analogamente in servizio presso le FARDC, tra romeni, moldavi, georgiani e bielorussi. Nondimeno risultano esservene anche a supporto degli M23 e della RDF, secondo una prassi ormai molto diffusa nei conflitti moderni ed in particolar modo nei contesti africani. La loro presenza è di per sé sempre perniciosa per il paese che si trovi a doverne far ricorso, perché rappresentano la tipica risposta ad un'emergenza, quella di FFAA deficitarie, destinata a quel punto a divenire cronica. 

 

Il caso delle FARDC in questo senso è emblematico, perché puntellandosi su di loro e sulla missione ONU MONUSCO attiva dal 2000 non hanno mai avuto l'impulso a ristrutturarsi rafforzandosi e rendendosi autonome nella difesa del proprio paese. Kinshasa, mentre pagava profumatamente questi mercenari che davanti alla difficoltà hanno preferito darsela a gambe, e li alloggiava in alberghi di lusso sempre a proprie spese, lasciava i propri ufficiali e soldati di leva senza stipendi, con vitto ed alloggio sotto livelli decenti e con armamenti usurati o inadeguati. Uscite oltremodo tribalizzate da Mobutu, con Kabila che ha dato loro una struttura ancor più familistica, le FFAA congolesi scontano anche sotto l'attuale Presidente Felix Tshisekedi numerose lacune che le rendono inadeguate ad affrontare i gravi impasse del paese, ed ancor più uno scontro diretto con altre forze più efficienti come ad esempio quelle ruandesi. In un paese di 102 milioni di persone con un'età media di 16 anni, che testimoniano un forte senso patriottico espresso dalla loro partecipazione in milizie volontarie come i Mai-Mai, e ricco di risorse come la RD Congo, non è un problema indifferente: vi è un enorme potenziale che in tutto questo tempo poteva essere sfruttato, affrancandosi così dal mercenariato e dall'assistenza altrui.

 

La guerra nel Nord Kivu, come testimoniato anche soltanto dall'immensa partita per le risorse, ha un forte significato geopolitico. Intorno alla regione, e all'intera RD Congo, gravitano gli interessi di vari attori internazionali come l'UE, gli USA ed Israele, col ruolo quando diretto od indiretto dei loro alleati locali come il Rwanda, l'Uganda e il Kenya, Stati chiave della Comunità dell'Africa Orientale (EAC) anch'essa al pari della SADC presente con proprie forze sul suolo congolese. Tuttavia non è soltanto una partita legata alle risorse, ma anche al ruolo politico della RD Congo nel Continente Africano: Tshisekedi, più moderato del predecessore Kabila, ha cercato di ricondurre il paese ad una maggior sintonia con gli USA, riducendo le distanze che erano state aumentate da Kabila. Washington a sua volta ha spinto su Kinshasa affinché, per rientrare nella sua orbita, stracciasse i ricchi contratti di cooperazione firmati con Pechino, firmati sia da Tshisekedi che soprattutto da Kabila; ma su questo punto il Presidente congolese non s'è dimostrato, comprensibilmente, abbastanza “ricettivo”. 

 

Nel frattempo negli USA usciva vincitore dalla corsa alle Presidenziali Donald Trump, una notizia vista con un certo disappunto a Kigali, che aveva sempre trovato nell'Amministrazione Biden una sicura alleata per il proprio ruolo in Africa Centrale. All'ombra di Biden, il Rwanda di Paul Kagame ha potuto usufruire di corposi finanziamenti federali, oltre a prestiti, investimenti e  trasferimenti di capitali a vario titolo dalla World Bank per 1,25 miliardi di dollari. In aggiunta a questi fondi, il Rwanda riceve poi 20 milioni dall'UE, 400 dalla Francia e 310 dalla Gran Bretagna, per programmi che vanno dallo sviluppo alla tutela dell'ambiente fino all'industria 4.0, oltre alle politiche antimigratorie. Così, prima che alla Casa Bianca cambiasse il vento, il Rwanda ha deciso di dare un segnale attraverso gli M23, teso a far capire a Washington e a ricordare a Bruxelles d'essere ancora l'unico referente locale davvero in grado di tutelare i loro interessi in Africa Centrale. 

 

Non sfugge in tal senso neppure il contemporaneo attivismo di un altro leader moderato e giudicato vicino all'Occidente come il kenyano William Ruto, che dinanzi alla sopraggiunta crisi militare nella RD Congo ugualmente s'è precipitato per non lasciarsi sottrarre dal piccolo alleato rwandese il proprio ruolo nell'EAC. Se nei confronti del Rwanda Tshisekedi ha chiuso i rapporti diplomatici minacciando la guerra, nel caso del Kenya ha invece rifiutato l'invito a partecipare al summit straordinario dell'EAC, voluto da Ruto proprio per affrontare la situazione nel Nord Kivu. Il conflitto nel Nord Kivu, non solo militare ma anche politico e diplomatico, lungi dall'approdare ad una chiara conclusione, sarà giocato su più tavoli e da più di un giocatore.

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