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Letture erronee e colpi bassi: Washington non può sottrarsi ad una condotta più responsabile

2024-04-28 19:00

Filippo Bovo

Letture erronee e colpi bassi: Washington non può sottrarsi ad una condotta più responsabile

Giorni fa, com'è noto, gli USA hanno respinto col loro veto la risoluzione per una piena adesione dello Stato di Palestina all'ONU. Nel far ciò, si so

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Giorni fa, com'è noto, gli USA hanno respinto col loro veto la risoluzione per una piena adesione dello Stato di Palestina all'ONU. Nel far ciò, si sono mossi in netto contrasto con gli altri membri permanenti del Consiglio di Sicurezza che avevano invece espresso ben diverso parere, suscitandone la forte irritazione. Soprattutto i rappresentanti di Russia e Cina, ricordando come gli USA non godano di alcuna eccezionalità rispetto al resto della comunità internazionale, hanno ribadito il diritto inalienabile dei palestinesi a godere dell'indipendenza con una piena statualità. Impedendo un completo accesso dello Stato palestinese all'ONU, infatti, gli USA pongono un macigno al momento invalicabile per la soluzione dei due Stati, che pure a parole sostengono di voler perseguire, e forniscono ad Israele la possibilità di portare avanti pressoché indisturbata sul campo la propria politica di occupazione dei territori palestinesi. Ciò, inevitabilmente, fornisce pure buone ragioni perché sempre sul campo la situazione degeneri ulteriormente, con un aumento della tensione regionale e il tutt'altro che improbabile intervento di altri attori locali già oggi ai ferri corti col governo di Netanyahu.

 

Infastiditi dal crescente ruolo in Medio Oriente di paesi come la Russia e la Cina, che giudicano alla stregua di propri “nemici strategici", gli USA non hanno esitato in passato a rivolgere colpi bassi contro di loro, ad esempio sostenendo i movimenti islamo-fondamentalisti nel Caucaso o nello Xinjiang, ed in tal senso anche il recente attentato dell'ISIS-Khorasan a Mosca non dovrebbe esser dimenticato, come del pari la “macchina del fango” contro Pechino sul trattamento riservato in patria alle popolazioni uigure e kazake, in particolare nella Regione Autonoma dello Xinjiang. In entrambi i casi, e soprattutto nel caso del “genocidio uiguro” nello Xinjiang, ciò a cui gli USA mirano è di creare sfiducia tra i suoi “nemici strategici” Russia e Cina e i loro partner arabi e mediorientali. Non va loro giù il buon rapporto stabilitosi nel tempo tra Russia, Cina e Teheran e il fatto che quest'ultima, grazie al costruttivo lavoro diplomatico da esse portato avanti, abbia ritrovato una piena accettazione da parte degli altri paesi mediorientali, col risanamento dell'antica divisione tra sciiti e sunniti su cui proprio il vecchio ordine unipolare a guida americana faceva gioco per il proprio predominio in Medio Oriente in cogestione con Israele. Ad ogni modo, se con Mosca le possibilità di un incontro diretto sono ancora per ovvie ragioni piuttosto remote, non così si può invece dire con Pechino, ed in tal senso non sorprende più di tanto che proprio alla vigilia della sua visita in Cina il Segretario di Stato USA Antony Blinken abbia nuovamente agitato le fake news sul “genocidio uiguro” e le violazioni dei diritti umani nello Xinjiang.

 

Infastidiscono, agli occhi di Washington, anche gli importanti dati di crescita economica dei suoi due “rivali strategici”, indipendentemente dalle sanzioni e dalla guerra che gravano soprattutto sulle spalle di Mosca. Non soltanto il FMI attesta per entrambi ottime prospettive per l'anno corrente, in linea con quelle già viste nell'anno trascorso, ma oltretutto anche sul piano internazionale e strategico i loro progressi risultano non meno impressionanti. I 95 miliardi di fondi militari per Ucraina, Israele e Taiwan sbloccati recentemente dal Congresso USA rappresentano in tal senso un piccolo intralcio che non andrà certo a frenarli, rappresentando semmai un allungamento di conflitti già in atto o in fieri e che tuttavia sono già destinati ad approdare ad un'inevitabile conclusione. A Washington si mira ad alimentare e protrarre sine die lo stillicidio, ma mancano nel concreto idee più chiare su come approdare a soluzioni che, con l'accettazione della realtà e degli equilibri internazionali, non vedano anche il sacrificio dei vecchi interessi già in essere.

 

Insomma, dalle rinnovate dichiarazioni sullo Xinjiang fatte da Blinken alle ultime considerazioni circa la “sovracapacità” produttiva cinese, smontate dalle accurate analisi espresse dal Prof. Jeffrey D. Sachs, è chiaro l'intento di Washington di sabotare o comunque non propiziare il dialogo su questioni anche di altra natura ma che per il mondo politico, economico e militare americano sono evidentemente al momento inaggirabili. Tuttavia, la visita di Blinken era ormai in programma e a Pechino sono stati ben lieti di riceverlo, anche perché indubbiamente ciò costituiva pure un occasione per qualche piccolo chiarimento su tali “scivoloni”. Non a caso, nel riceverlo, il Presidente Xi Jinping ha espresso a Blinken il desiderio che gli USA possano guardare allo sviluppo della Cina in modo positivo, ricordando quanto ciò sia difficilmente raggiungibile senza perseguire una stabilizzazione ed un miglioramento dei rapporti tra i due Paesi. Dopotutto siamo nell'anno in cui ricorre il 45esimo Anniversario delle relazioni diplomatiche tra Cina e USA, e sebbene in tutti questi anni non siano mancate innumerevoli difficoltà i due Paesi hanno comunque imparato quanto sia meglio esser partner che rivali, aiutarsi anziché danneggiarsi reciprocamente, guardare ai punti in comune anziché a quelli che li dividono per farne poi argomento di competizione feroce, ed onorare le proprie parole con le azioni e non il contrario. Per Xi Jinping è stata anche una buona occasione per ricordare a Blinken quanto già detto al suo omologo Joe Biden durante l'incontro APEC di San Francisco, ovvero la linea dei cinque pilastri basata su una giusta percezione reciproca, una gestione efficace e congiunta dei disaccordi, la promozione di una cooperazione vantaggiosa per ambo le parti, e la comune responsabilità come grandi Paesi ad assicurare liberi e sicuri scambi tra cittadini. Se da parte cinese la volontà a cooperare non manca, è da parte americana che deve tuttavia rendersi più manifesta, mentre anche la competizione stessa deve essere costruttiva e non distruttiva. Infine, ogni Paese è giusto che abbia i propri partner ed interlocutori, senza puntare a danneggiare l'altro o i suoi.

 

“Nessun progresso significa regresso”, recita un proverbio cinese ricordato nell'occasione a Blinken da Xi Jinping. Secondo lo spirito di San Francisco, i due Paesi devono quindi lavorare insieme ed armoniosamente su temi di portata comune, dall'intelligenza artificiale agli scambi tra persone fino alla lotta contro il narcotraffico. I richiami ad alcune polemiche recentemente sentite anche su quest'ultimo tema probabilmente non sono stati così casuali, e del resto neppure gli inviti cinesi a manifestare un approccio più costruttivo sulle varie questioni internazionali, la cui serietà richiama entrambi a comuni responsabilità. Insieme all'annosa polemica sul Fentanyl e a quella recentemente rispolverata sullo Xinjiang, senza dimenticare quella sulla “sovracapacità” produttiva, Blinken aveva infatti rivolto anche un'altra provocazione che indubbiamente poco favoriva un buon clima diplomatico, come quella del sostegno cinese allo sforzo bellico russo in Ucraina. Sostenendo tale tesi, non provata dai fatti, gli USA dipingono infatti la Cina come “alleato cobelligerante” della Russia quando in realtà è proprio Washington ad esserlo non soltanto con l'Ucraina, ma anche con Israele e Taiwan, come provato sia dall'ultimo fondo di 95 miliardi che da tutti quelli precedenti, e via dicendo. Inoltre, in tal modo, proprio perché definita come “cobelligerante", la Cina perde secondo gli USA il proprio ruolo di credibile ed efficace paese mediatore nella guerra in Ucraina, impedendole di portare avanti i propri sforzi per approdare ad una soluzione pacifica tramite lo strumento negoziale. Tale espediente, è bene ricordarlo, viene adottato dagli USA anche per il conflitto in Medio Oriente, dove ugualmente la Cina insieme alla Russia è considerata da Washington e dai suoi alleati europei come fornitrice economica e militare di Teheran, e persino indirettamente come “mente” delle azioni svolte dal “braccio” iraniano a sua volta identificato come “terrorista”. Chiaramente, se queste letture così volutamente erronee non saranno abbandonate dagli USA, sarà piuttosto difficile poter approdare ad un più disteso clima internazionale, indispensabile affinché finalmente si approdi a soluzioni politiche per le attuali crisi in corso.

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