Negli ultimi anni abbiamo assistito al contrapporsi di forze costruttrici e distruttrici, col mondo che spesso s'è trovato dinanzi al terrore dell'abisso. Le guerre in Ucraina e in Palestina vedono una montante conflittualità tra Oriente ed Occidente, e non diversamente potremmo dire per tanti altri conflitti meno noti o addirittura proprio ignorati dall'opinione pubblica. Pure gli stati di tensione sopravvissuti a vecchi conflitti mai debitamente sanati, o quelli nuovi artificiosamente coltivati da una o più parti, come nel Pacifico, ci ricordano quanto fragili e complessi siano quegli equilibri che tutti più rispettosamente dovremmo curare. In generale, e non solo nel loro rapporto col vasto e sempre più emergente “Sud Globale”, le grandi e medie nazioni di Oriente ed Occidente dovrebbero sentirsi tenute al rispetto di storiche ed inevitabili responsabilità, oggi rinnovate nella loro attualità da una sempre più elevata posta in gioco.
Le guerre in Ucraina e in Palestina sono oggi i temi che maggiormente infiammano i dibattiti di opinionisti di settore e comuni cittadini. Pensare che si possa giungere ad un loro termine senza passare per le vie negoziali è oggettivamente pura utopia: senza contare che anche una semplice resa incondizionata da parte di un ipotetico sconfitto richiederebbe pur sempre la sua firma, o quella di qualcuno che abbia la titolarità per rappresentarlo. Riaffermare la centralità del diritto e degli strumenti politici, dunque, è conditio sine qua non per risolvere questi come qualsiasi altro conflitto. Il fatto che Pechino abbia fortemente contribuito al riavvicinamento tra Iran ed Arabia Saudita, con la chiusura di una pluridecennale faglia che divideva l'intero Medio Oriente, ha permesso che dal 7 ottobre ad oggi non accadessero drammi persino più gravi di quelle visti finora. Tuttavia, è tra Israele ed Hamas, tra quanti a livello internazionale sostengono l'uno e quanti invece l'altro, che si deve ora operare affinché possa ritornare la pace. Mantenere un dialogo con tutti, ricordando sempre a chi abbia le maggiori responsabilità nel peso e nella prosecuzione di quel conflitto, è il primo passo da farsi sia per detenere una credibilità di negoziatori sia per condurre dei negoziati veri e propri. Un “cessate il fuoco” ed un supporto umanitario immediati sono priorità inderogabili, propedeutiche a sanare la ferita di un’occupazione pluridecennale del territorio palestinese, a chiudere una crisi che dal Novecento è giunta al nuovo secolo e a garantire, con la formula dei due Stati, che mai più il valore della vita di una persona sia deciso dalla sua cittadinanza, etnia o fede religiosa. In tal senso la linea di Pechino continua ad essere un esempio da seguire per molti, come testimoniato pure da altre sue meno note fatiche diplomatiche ed internazionali: si pensi ad esempio alle trattative nel Myanmar settentrionale, tra autorità governative e ribelli paramilitari dell'Alleanza delle Tre Fratellanze, con una pace che ha finalmente chiuso un conflitto plurigenerazionale.
Non è diverso per quanto riguarda i rapporti con la Russia: chiunque pensi che si possa giungere ad una fine del conflitto in Ucraina senza discutere anche con Mosca, come fatto finora dai paesi NATO, non farà altro che prolungare sine die le sofferenze del popolo ucraino e le tensioni in Europa e nel mondo. Recuperare un dialogo con Mosca sarà un dovere per le nazioni occidentali, da cui non potranno in ogni caso esimersi neppure in futuro, per ovvie motivazioni d'interscambio economico e commerciale o di cooperazione internazionale: nel frattempo, col suo vasto vicino russo, Pechino collabora in un clima di reciproca fiducia politica raccogliendo i risultati di una preziosa cooperazione dai mutui benefici, che nel solo 2023 ha pesato per 240 miliardi di dollari, oltre ai tanti dossier regionali ed internazionali affrontati sempre più in condivisione. Rimane degna di menzione, affinché non sia troppo frettolosamente o facilmente dimenticata, come la proposta di pace cinese più volte presentata in sede internazionale mantenga tuttora la sua validità e che abbia a suo tempo trovato anche la disponibilità del governo di Kiev, e che dall'inizio del conflitto in Ucraina ad oggi Pechino sia stata tra i pochi paesi promotori di una linea di pace e negoziati. Prima tali negoziati saranno avviati, con la possibilità che le due parti possano parlare, e prima le sofferenze della popolazione ucraina e lo stillicidio di vite umane potranno venire meno: proprio lo stesso identico concetto già adottato per l’odierna crisi in Palestina.
Per tutti questi argomenti come per altri ancora, Pechino mira a coltivare e preservare un rapporto costruttivo con l'Occidente, col quale un conflitto o nuove tensioni sarebbero inimmaginabili già soltanto per le conseguenze che andrebbero a determinare. Lo stesso d'altronde dovrebbe valere per ogni altro attore internazionale, e proprio per questo è importante che gli esempi positivi siano seguiti mettendo da parte le condotte sbagliate. Gli Stati Uniti, potenza guida dell'Occidente, hanno il compito di correggere le loro visioni erronee riguardo la Cina, la Russia o altri loro interlocutori nel mondo, inserendosi in un percorso più rispettoso e meno conflittuale nel rapporto con loro. E' positivo, come ribadito anche nel recente vertice APEC, che Washington non miri a sostenere l'indipendenza di Taiwan, che per Pechino rappresenterebbe la violazione di una “linea rossa” intollerabile, ma è importante pure che gli Stati Uniti abbandonino le loro logiche di “contenimento” e “guerra fredda” sia con la Cina che con chiunque altro: dopotutto abbiamo già visto a cosa il perseguimento di tale approccio li stia portando con la Russia. In generale Washington dovrà mantener fede alle proprie dichiarazioni, anziché far il contrario di ciò che afferma come spesso è avvenuto: altrimenti non potrà lamentarsi se a patirne sarà la propria credibilità. Un’altra cartina di tornasole di tale comportamento lo si ha nel modo in cui finora è stato gestito il dossier del Mar Cinese Meridionale, con un comportamento provocatorio da parte statunitense ed analogo a quello spesso perseguito per Taiwan, persino con l’ingerenza di attori esterni ed estranei da una tale realtà geografica ed in crescente violazione della sovranità cinese. Anche il recentissimo caso di TikTok, su cui nuovamente Washington torna alla carica, testimonia come certe condotte possano persino avere come conseguenza quella di ritorcersi contro i loro responsabili, con esiti autodistruttivi.
Ciò vale anche per i rapporti tra Europa e Cina: è interesse dell’una che l’altra sia forte, e viceversa, per poter contare su una credibile ed affidabile collaborazione. Il rapporto tra Cina e Russia, in questo senso, si pone come buon esempio da seguire anche per l’Unione Europea e non soltanto per gli Stati Uniti, suoi alleati. Difendere una visione multilaterale del mondo è di comune vantaggio, perché salvaguarda tutti dalle incognite di nuovi ed antistorici confronti tra blocchi, e riduce ai minimi termini i rischi di tensioni internazionali che né ora né mai gioverebbero a chicchessia. In tal senso, guardare con realismo all’ormai decennale iniziativa della Belt and Road (BRI) permetterebbe di comprendere agli occidentali, siano essi europei o statunitensi, come essa non costituisca per i loro popoli e paesi una sfida o una minaccia, ma al contrario una ricca opportunità da condividere tutti insieme, in un mondo dove la globalizzazione non potrà mai essere archiviata per decreto. L’economia cinese, oggi, è in continua espansione, e non di meno si potrebbe dire per quella di altre grandi nazioni orientali, mediorientali o della Russia: precludersi alle preziose occasioni che un interscambio con esse può fornire è un atto controproducente, e almeno per quanto la riguarda Pechino intende manifestare le proprie costruttive intenzioni verso i paesi europei aumentando la lista dei paesi che beneficeranno dell’esenzione dei visti. Non solo turismo o commercio, tuttavia: il rapporto con un paese che nel caso della Cina ammonta a 1,4 miliardi di persone è da valutarsi sotto numerosi aspetti, anche in virtù del suo peso tecnologico e quindi delle collaborazioni scientifiche, nel campo dell’IA (Intelligenza Artificiale) su cui sempre più sarà bene che a livello internazionale si giunga ad una visione comune, o ad altri settori scientifico-tecnologici dei più disparati. Gli esempi in tal senso sono numerosi e l’esistenza di numerose joint-ventures tra aziende cinesi ed occidentali prova come da quel volano possa trarre vigore una nuova epoca di crescita anche per l’Unione Europea: è notizia di questi giorni, per esempio, l’interessamento di Chery per il progetto di “Fabbrica Italia”, abbandonato da FIAT dopo la fusione con PSA in Stellantis.
Riaffermare, in un quadro di pieno rispetto reciproco dei vari attori mondiali, la centralità delle istituzioni internazionali come l’ONU, unica fonte del diritto internazionale, significa concedere a tutti maggiori possibilità per intervenire nelle varie questioni che lacerano il pianeta e su cui sono spesso prime vittime e parti coinvolte. L’esempio dei rapporti coltivati con l’Africa da Pechino, e più di recente anche da altri attori emergenti come la Russia, prova che si può uscire dalle vecchie dinamiche di gerarchia tra Nord e Sud che hanno connotato la politica occidentale dell’ultimo secolo. I vertici FOCAC, in tal senso, sono una prova lampante. Mentre varie crisi come quella in Sudan, o ancora in Palestina o in Ucraina, ricordano oggi più che mai quanto sia tassativo per tutti, Oriente ed Occidente, assumersi la responsabilità per rafforzare l’autorità e l’efficacia delle istituzioni internazionali come l’ONU.