
Tra la fine di gennaio e l'inizio di febbraio Roma ha ospitato un grande evento internazionale, il Summit Italia-Africa “Un ponte per una crescita comune”, con cui il governo Meloni ha prospettato alle varie parti convenute i contenuti del fino ad oggi piuttosto molto nebuloso e speculato Piano Mattei. Sebbene i lavori del Summit abbiano riguardato le giornate del 27 e 28 gennaio, gli incontri tra i rappresentanti italiani e le varie delegazioni africane intervenute sono invece proseguiti fino a tutta la prima settimana di febbraio: solo dal loro andamento deriverà nel corso del tempo un attendibile giudizio sulla consistenza del Piano Mattei. Non a caso il Summit è stato presentato soprattutto come un momento d'avvio e d'incontro, in cui cominciare ad immettere i contributi necessari a rendere il Piano Mattei programmaticamente sostanzioso, anziché fumoso come finora era stato.
Poterne dare già ora un giudizio davvero dirimente appare perciò ancora piuttosto precoce, ma i primi numeri possono comunque darci già l'idea di un avvio tutto sommato promettente, benché viziato da alcuni passi falsi che la nostra diplomazia avrebbe potuto più attentamente evitare. Con la presenza di 13 capi di Stato, 9 capi di governo, 5 vicepresidenti e rappresentanti di 25 istituzioni internazionali, non si può dire che l'evento in sé sia stato un sostanziale fallimento, come da molti paventato; ancor più se pensiamo che, dei 54 paesi che siedono nell'Unione Africana, sono in totale 46 ad aver comunque aderito all'invito mandando quantomeno dei propri ambasciatori. Ecco, proprio a riguardo di quest'ultime presenze, che in molti hanno forse un po' troppo indebitamente avvertito come “minoritarie”, si potrebbe dire che per il Summit più che di un “fallimento” sia giusto parlare di un “non pieno successo”, almeno per quanto riguarda il suo primo esordio. In concomitanza o quasi col vertice, infatti, se ne sono avuti anche altri di diversi ed importanti enti intergovernativi ed internazionali come quelli del Movimento dei Non Allineati (MNOAL) e del G77+China, o ancora dell'Autorità Intergovernativa per lo Sviluppo (IGAD), tutti e tre svoltisi a Kampala, in Uganda, con impegni lavorativi proseguiti anche nelle giornate successive al loro svolgimento ufficiale. La ristrettezza nelle tempistiche tra tutti questi vertici non giocava quindi a favore di quello di Roma, e proprio per tale ragione il governo italiano avrebbe potuto procedere ad una migliore consultazione con le controparti così da individuare una data più propizia. Forse anche questa è parsa come una “indelicatezza diplomatica” che poteva essere più oculatamente evitata, e non a caso il Presidente della Commissione dell'Unione Africana ha esordito affermando: “avremmo voluto essere consultati”.
Parole certamente gravi, solo in parte mitigate da quelle del Presidente dell'Unione Africana Azali Assoumani che ha invece definito “il Piano molto buono”, ma che comunque testimoniano come il poco coordinamento nelle scelte di calendario quanto nelle linee guida che il Piano dovrebbe seguire abbia di sicuro pesato sul suo primo avvio. Ad ogni modo, come dicevamo, numerosi sono i paesi intervenuti: Algeria, Angola, Benin, Botswana, Burundi, Camerun, Capo Verde, Ciad, Comore, Repubblica Del Congo, Costa D’Avorio, Egitto, Eritrea, Eswatini, Etiopia, Gambia, Ghana, Gibuti, Guinea Bissau, Guinea Equatoriale, Kenya, Leshoto, Libia, Madagascar, Malawi, Marocco, Mauritania, Mauritius, Mozambico, Namibia, RCA, RDC, Ruanda, Sao Tomè e Principe, Senegal, Seychelles, Sierra Leone, Somalia, Sud Sudan, Sudafrica, Tanzania, Togo, Tunisia, Uganda, Zambia e Zimbabwe.
Se ne deduce pur sempre da parte dei paesi africani una cordiale disponibilità al piano prospettato dall'Italia che, per quanto reduce da un recente passato di rapporti non sempre dei più costruttivi col loro Continente, tuttavia ancora mantiene ai loro occhi un grado di “accettabilità” o “perdonabilità” di sicuro ben superiore rispetto ad altri paesi europei come Francia ed Inghilterra; e ciò sebbene ancora permanga il ricordo di quanto l'Italia, insieme a Parigi, Londra e Washington, nel più ampio quadro NATO, fece con la Libia nel 2011, pugnalandola alle spalle dopo che solo tre anni prima vi aveva sottoscritto un Partenariato strategico ed un accordo di mutua difesa. Stanti questi fattori, l'Italia dovrà ora sudare ben più che sette camicie per dimostrare ai suoi interlocutori africani di meritarsi tale loro magnanimità, innanzitutto valorizzando il più possibile questa importante occasione e riempiendo di veri contenuti il Piano Mattei, tramite un rapporto concertato caratterizzato dal reciproco rispetto anziché da verticalità e paternalismi autoreferenziali. Qualora non lo facesse, la sua futura credibilità e i suoi futuri rapporti col Continente ne risulterebbero ancor più inficiati.
Al mattino del 29 la premier Giorgia Meloni ha accolto i loro rappresentanti insieme a quelli dell'Unione Africana e dell'Unione Europea, così come di altre istituzioni internazionali, in particolare le varie agenzie dell'ONU. La scelta di tenere il Summit in Senato anziché alla Farnesina indicava come dichiarato la volontà d'elevare a Vertice internazionale, con Capi di Stato e di governo, quella che solitamente era una conferenza a livello ministeriale: proprio l'accresciuta importanza dell'evento avrebbe imposto alla diplomazia italiana un lavoro più attento e concertato con le varie parti invitate. Ancor più se pensiamo alla “centralità e rilevanza che l'Italia attribuisce al rapporto con le nazioni africane”, espressa dalla premier, che intende riservar loro un “posto d'onore” in occasione del G7 che quest'anno vedrà proprio il ruolo guida di Roma.
Numerose volte la premier ha parlato di cooperazione, rapporto alla pari, condivisione, win-win, partnership, ad indicare la volontà di perseguire un rapporto equo anziché di stampo neocoloniale con le nazioni africane; questo anche per fugare varie letture che già circolavano prima dell'inizio del Summit, secondo cui il Piano Mattei sarebbe soprattutto un'occasione per portare avanti una politica di stampo “euro-atlantista”, dove soprattutto Washington giocherebbe la parte del leone lasciando alle grandi aziende italiane quanto basti a renderle ottime consociate in affari (Eni per l'energia, WeBuild-Salini Impregilo per le costruzioni, ecc). Certamente queste ipotesi non possono venir messe tanto facilmente al bando, considerando la politica estera che l'Italia si trova sempre più a recitare negli ultimi anni; basti solo pensare che il riavvicinamento di Roma a vari paesi africani, come l'Algeria, il Mozambico, l'Angola, il Ghana, ecc, è stato dettato a partire dalla guerra in Ucraina e delle sanzioni alla Russia dalla necessità di reperire nuove risorse energetiche con cui compensare le diminuite forniture russe. Altri elementi che hanno pesato sul ritorno d'interesse di Roma per le nazioni africane, o quantomeno per una loro parte, è stato quanto conseguito al 7 ottobre e al conflitto a Gaza, con l'entrata in azione degli Houthi nel Mar Rosso ed il conseguente avvio di maggiori azioni a tutela del traffico delle navi europee ed americane, culminate nelle operazioni militari Prosperity Guardian e Aspides.
Non va infine dimenticato il controllo delle rotte migratorie, altro elemento su cui l'attuale maggioranza di governo ha largamente puntato durante la campagna elettorale del 2022 e su cui tuttora vede giocare molta della propria credibilità presso l'elettorato, ed in tal senso andrebbe ricordato come il Partenariato tra Italia e Tunisia avviato proprio dal governo Meloni avesse nel contenimento migratorio la sua finalità principale. Partito con tali premesse, e condizionato dal voler prestare denaro alla Tunisia coinvolgendo UE e FMI, il Partenariato italo-tunisino è rimasto come noto lettera morta o quasi, non tardando a ritrovarsi scaricato dal Presidente Kais Saied. A proposito di Saied, andrebbe detto come fosse tra i Capi di Stato presenti il 28 e 29 gennaio a Roma, sebbene le sue parole non siano state tra le più concilianti o propizie per l'iniziativa promossa dal governo italiano. Anche se potrà sembrare molto lungo e non del tutto scientifico, consigliamo ai lettori di guardarsi la lunga galleria fotografica dei lavori del Summit, raccolta dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, che immortala i numerosi rappresentanti convenuti per l'occasione: la mimica dei volti, molto spesso, parla più di mille parole.
Altri elementi che indubbiamente gravano sul Summit e la futura buona riuscita del Piano Mattei, le risorse che al momento sembrano essere assai poche rispetto a quelle che sono riusciti a movimentare altre cooperazioni coi paesi africani già in atto da anni, a cominciare da quelle i paesi come Russia e Cina. Le presenze che si possono annoverare ai Summit Russia-Africa di San Pietroburgo e ai Forum di Cooperazione Africa-Cina (FOCAC) sono indubbiamente maggiori e più partecipate, e soltanto negli ultimi anni hanno mosso miliardi di dollari in interventi diretti ed indiretti, con la costruzione o l'ammodernamento di nuove infrastrutture, nonché cooperazioni in campo agricolo, industriale, tecnico e scientifico. Se nel 2023 la Russia ha offerto grano sottocosto a numerosi paesi africani e mediorientali, ed addirittura a titolo gratuito ad altri sei, addirittura la Cina ha recitato un ruolo ancor più incisivo in termini commerciali ed infrastrutturali, contribuendo non poco al miglioramento socio-economico interno ai suoi partner, mentre la BRI (Belt and Road Initiative) vede nel Continente un'adesione ormai pressoché plebiscitaria. Peraltro, sulla buona riuscita del Piano Mattei come sulla sua credibilità presso parte del mondo politico ed economico del Continente Africano, grava pure l'uscita di Roma dal MoU, peraltro non vincolante, d'adesione alla BRI. Ai loro occhi, infatti, rappresenta un segnale poco propizio circa le reali intenzioni e possibilità italiane: da una parte ne sottolinea l'attuale ostilità o sfiducia verso un partner importante per gran parte delle nazioni africane come Pechino, dall'altra ne inficia le possibilità di stabilire con varie economie africane una cooperazione in grado di meglio armoniosamente integrarsi con quelle già in corso con Pechino e i suoi vari alleati. Non ci sono dubbi che un'Italia in piena pace e con rapporti costruttivi con Russia e Cina, così come con altri paesi sempre più attivi nel Continente come Turchia od Iran, costituirebbe per le varie nazioni africane un referente ben più interessante e credibile: il Piano Mattei e la cooperazione italiana, a quel punto, andrebbero ad integrarsi anziché inutilmente concorrere con quelle russe, cinesi e di altri paesi che vi sono oggi in varia misura presenti.
Al momento, per il Piano Mattei, l'Italia mira a tirar fuori 5,5 miliardi di euro, tra crediti, operazioni a dono e garanzie; e di questi circa 3 miliardi proverranno dal Fondo Italiano per il Clima, mentre gli altri 2,5 arriveranno dalla Cooperazione allo Sviluppo. Oltre a questo primo stanziamento ci sarà poi l’appoggio fornito da istituti finanziari, banche e Cassa Deposito e Prestiti a sostegno degli investimenti privati. Il divario appare “ironicamente” a sfavore delle ambizioni italiane, a maggior ragione considerando una certa volontà di presentarsi come “gendarmi di ritorno” per alcune aree del Continente attualmente coinvolte da varie turbolenze geopolitiche su cui al momento la diplomazia di Roma non si trova sulla stessa lunghezza d'onda di quelle locali. Gli interventi della premier Meloni, come dei ministri Tajani e Crosetto, che in alcuni passaggi miravano a mettere in guardia i loro interlocutori africani dal “colonialismo” russo e cinese e dalla “insidia” della BRI, ugualmente non rappresentano un buon modo per incontrare il consenso dei governi africani, che in merito alla cooperazione con Mosca e Pechino possono invece testimoniare ben altro e più gradevole approccio, con risultati ben difficili a denigrarsi. L'idea di presentare il Piano Mattei come qualcosa d'esclusivo, teso non soltanto a far concorrenza alle cooperazioni sino-africana e russo-africana già in atto ma addirittura ad escluderle e sostituirle, appare dunque sin da ora piuttosto irrealistica, più adeguata ad appagare i luoghi comuni di un certo elettorato nostrano in vista delle prossime elezioni Europee che a trovare concreti riscontri sul piano pratico.